Una volta ci trovavi i ragazzi al centro per l'impiego. Andavano i giovani appena diplomati, qualche neo laureato, lasciavano curriculum, provavano a fare esperienza. Entravano nel mondo del lavoro, un passetto alla volta.
Oggi lo scenario è tutto diverso, in attesa col biglietto in mano e una serie di documenti nell'altra ci sono i padri di famiglia, la maggior parte di quelli che passano al centro per l'impiego sono cinquantenni che il lavoro l'hanno perso e che a quell'età non lo ritrovano.
Sul muro c'è qualche annuncio per richiesta di personale, colpisce che la prima voce richiesta, per incarichi rigorosamente a tempo determinato, sia l'esperienza. Poi però chi ha l'esperienza ha troppi anni, chi è giovane l'esperienza non ce l'ha. E si sta così, in attesa.
Qualcuno si è portato un biscotto per arrivare all'ora di pranzo, c'è chi prende sonno su una sedia che almeno qua dentro fa caldo e si sta bene.
Giovanni lavorava nel calzaturiero, ha perso il lavoro tre anni fa: “Sono qui per rinnovare la disoccupazione, dobbiamo passare qui ogni sei mesi. Prendo 800 euro, ne pago 500 di affitto, mia moglie non lavora. Ho una figlia che ha dovuto lasciare l'università, fa la barista e ogni tanto lavora ma in questo momento sta a casa. L'altro figlio è ancora a scuola. Di prospettive ce ne sono poche, oggi si fa fatica ad andare avanti”. Di chiamate non ne arrivano e se arrivano devi valutare se ne vale la pena che se per due mesi di lavoro finisci per perdere la disoccupazione non ti conviene e aspetti ancora: “Per fortuna c'è mia madre, alla mia età mi tocca ancora chiedere aiuto e mi pesa molto”.
Giulio sa fare il cuoco, anche lui lavora di tanto in tanto e a poco più di 30 anni è ancora a casa con i suoi: “Ho avuto un problema di salute e non posso fare lavori troppo pesanti. Poi però mi sono arrangiato sempre, d'estate si fa la stagione. Siamo cinque fratelli e nessuno di noi ha fatto l'università. Cerchiamo di lavorare tutti, anche per dare una mano ai nostri genitori che hanno un po' di terra. Il mio sogno è quello di aprire un negozio di frutta e verdura per vendere i nostri prodotti. Certo, ci vogliono i soldi e di questi tempi è dura”.
C'è Lucio, 50 anni e qualche mese, il solito strazio di contratti che durano due o tre mesi al massimo per poi tornare qui che pare di giocare ad avvitarsi e ripartire sempre, ogni volta da zero.
Arriva una famiglia, padre e padre giovanissimi, una bimba piccola. Prendono il numero e si preparano ad aspettare, sul viso una scarsa fiducia. Visi spenti e sguardi bassi, la mortificazione di chi pensava di aver risolto la vita e che di punto in bianco si ritrova di nuovo in mezzo al guado. Con le pratiche da sbrigare, le carte da compilare, i documenti da presentare.
Ci sono anche gli stranieri, in diminuzione per la verità, qualcuno protesta che quel poco di lavoro che c'è dovrebbe restare per gli italiani che qui non si va avanti. Poi però ammette Giulio: “Ci sono certi mestieri che gli italiani non li vogliono fare più. Nei vivai per esempio ci trovi tutti ragazzi stranieri che il lavoro è faticoso e noi italiani facciamo gli schizzinosi”.
Angelica Malvatani