In questi giorni si decide alla Camera la sorte della riforma delle Forze Armate già approvata dal Senato dopo approfondita discussione. Si tratta di una complessa delega al Governo che prevede, in sintesi, una forte riduzione di organico (40.000 unità in 6 anni, tra cui molti degli oltre 400 generali, per arrivare a 150.000 unità) ed un parallelo potenziamento della dotazione di nuovi armamenti, soprattutto con i nuovi carissimi cacciabombardieri F35.
Gli F35 sono il risultato di un accordo tra vari Paesi Nato, tra cui l’Italia, per lo sviluppo congiunto di un sistema d’arma destinato a mantenere la superiorità aerea dell’Alleanza. Si tratta di un progetto pluridecennale in cui sono coinvolte la maggiori industrie del settore Difesa, inclusa Finmeccanica, una delle poche realtà industriali italiane che fa ricerca “pesante”.
E’ probabile che il Parlamento siluri la riforma, non perché non ci siano oggi troppi militari male utilizzati ed organizzati, ma proprio per compiacerli in vista delle elezioni. Ho l’impressione inoltre che i parlamentari veramente esperti di strategia militare si contino sulla punta delle dita.
Spendere centinaia di miliardi di euro in un momento di crisi ed impoverimento come questo sembra a molti una follia. E hanno senso 80 o 90 milioni per un singolo aereo?
La risposta non è facile ma, come mi capita spesso, vorrei provare ad argomentare contro quella che viene più spontanea, cioè no.
La prima considerazione è che da un cinquantennio abbiamo integrato il nostro apparato militare in un’Alleanza, quella Atlantica, con questi benefici:
- siamo efficacemente difesi, o possiamo intervenire in missioni di pace e di prevenzione di conflitti allargati, con costi accettabili. La spesa militare italiana sul Pil si è ridotta a meno di un punto, contro i 17 delle pensioni e i 10 della sanità;
- siamo al riparo da tentazioni avventuriere dei nostri militari, mentre, in coerenza con l’art.11 della nostra Costituzione, non siamo obbligati a seguire quelle degli USA, data la natura difensiva dei trattati NATO.
La seconda è che non si possono ignorare le minacce reali alla pace di cui abbiamo goduto per due generazioni. Nel breve periodo queste risiedono nelle convulsioni del mondo islamico, che possono generare scenari pericolosi anche alle porte di casa (e se l’Egitto divenisse un secondo Iran?). Nel lungo si tratta dell’ascesa di Cina ed India, il cui reddito sarà tra 50 anni superiore a quello dell’Occidente ed in grado di finanziare forti eserciti. Siamo sicuri che faranno i bravi?
Infine occorre notare che la superiorità nei cieli ha sostituito quella sui mari come fattore critico di successo. L’arma aerea massimizza i fattori che possono portare ad una rapida e positiva soluzione di un conflitto, evitando i bagni di sangue tipici delle guerre di terra che abbiamo tristemente conosciuto nel 900. Questi sono:
- la velocità, simultaneità ed imprevedibilità (stealth) degli attacchi,
- la loro (sempre maggiore) precisione,
- la migliore integrabilità in una catena informativa e di comando multinazionale e multiforze.
Questi vantaggi consentono (come è sostanzialmente avvenuto in Libia e prima, anche se meno, in Serbia) di disarticolare in maniera relativamente rapida i centri nevralgici di una potenza nemica prima che questa attivi azioni militari di massa molto costose in termini di vite umane, militari e civili. Gli enormi investimenti per conseguire la superiorità aerea ritornano in termini di contenimento degli effetti devastanti di diffusi conflitti di terra.
Se quanto detto ha un senso, l’Italia deve fare la sua parte e non può affidarsi solamente allo zio Sam. Il paese ha le risorse per farlo e anche per avere buoni ospedali, se li gestisce meglio.
Forze armate efficienti, snelle, integrate internazionalmente e tecnologicamente avanzate possono inoltre essere un traino per l’innovazione dell’intero sistema paese, come avviene negli Stati Uniti. Da noi, purtroppo, sono state per troppo tempo un carrozzone assistenziale, guardato con pelosa benevolenza o ignorante diffidenza dalla politica.
Luca Romanelli