2012.11.03 – “La buona diseguaglianza, quella cattiva e il vero progressismo” di Luca Romanelli
Sarà vero, come diceva Balzac, che dietro ogni grande ricchezza c’è un crimine?
Gli economisti liberali sostengono che le diseguaglianze di reddito promuovono il benessere di tutti, perché i ricchi risparmiano e quindi investono più dei poveri, creando opportunità di lavoro per tutti. Inoltre la ricchezza di alcuni è un incentivo per più poveri a lavorare di più e meglio e ad investire in formazione.
Perché la teoria funzioni, tuttavia, occorre che l’economia sia veramente concorrenziale e l’accesso agli studi e alle fonti finanziarie sia basato sul talento e sulla validità delle idee degli imprenditori e non sul loro status sociale. I ricchi dovrebbero essere anche i migliori gestori della ricchezza.
Buoni esempi di questa “buona” diseguaglianza possono essere Microsoft, Google e Facebook. I loro fondatori, ora straricchi, non lo erano (Sergei Brin è immigrato con la famiglia dalla Russia). Il venture capital della Silicon Valley ha dato loro (come a molti altri che hanno fallito) un’opportunità. Ora sono filthy riches, ma hanno creato delle piattaforme informatiche che beneficiano miliardi di persone e aumentano la produttività del lavoro. Inoltre pagano le tasse e addirittura promuovono imprese filantropiche enormi, come la Bill Gates Foundation.
La dimensione abnorme dei loro redditi è una conseguenza non di un’ingiustizia, ma della globalizzazione, che ha allargato a dismisura la scala dei mercati e creato opportunità di creazione di valore sconosciute quando le economie erano chiuse. In certi settori, inoltre, come quelli legati alla web economy, l’innovazione e la conseguente leadership di mercato generano dei premi di profitto sconosciuti nella “vecchia” economia manifatturiera. Winners take all, o quasi.
Lo stesso vale per i manager delle grandi imprese globali ed i banchieri d’affari: sono tendenzialmente strapagati perché un’eccedenza di genio individuale, anche piccola, può in questi contesti significare maggiori profitti di miliardi di dollari per i loro azionisti.
L’importanza della globalizzazione della finanza nello sviluppo dei paesi emergenti e nell’uscita dalla povertà di centinaia di milioni di persone è innegabile. Il divario di reddito tra paesi ricchi e poveri si è drammaticamente ridotto di conseguenza.
Va quindi tutto bene? No.
Sia nei paesi ricchi che in quelli emergenti la polarizzazione della distribuzione dei redditi si associa spesso ad una ridotta mobilità sociale, tra classi sociali e generazioni, per cui i poveri tendono a rimanere tali indipendentemente dalle loro capacità, con questo impoverendo l’economia e la società nel suo complesso.
Questo si deve sostanzialmente alla tendenza dei ricchi e delle generazioni adulte a distorcere a loro favore il mercato ed il sistema fiscale, attraverso un’influenza diretta (creazione di monopoli) o indiretta (manipolazione dell’informazione e del sistema politico). In Cina e Russia, ad esempio, sono le ristrette elite legate al potere politico a beneficiare di più della globalizzazione. L’assenza di una sostanziale democrazia in questi paesi impedisce di contrastare il fenomeno. Diverso il caso, purtroppo solo in parte, in India o in Brasile.
Nel primo mondo, quello delle economie avanzate, sono platee più larghe e variegate di privilegiati (ricchi “di famiglia”, burocrazie dello stato assistenziale, monopoli storici) a piegare il sistema fiscale e la spesa pubblica a loro favore. Negli Stati Uniti il fisco premia i ricchi con aliquote poco progressive e basse sui capital gain. In Italia il vero premio è la possibilità di evadere o aggirare le imposte.
Per quanto riguarda la spesa pubblica gli interessi delle classi dominanti o delle classi medie organizzate politicamente hanno spesso impedito che le risorse arrivassero in maniera adeguata là dove erano più utili per il bene comune, cioè ai cittadini più poveri. Alcuni esempi molto italiani?: il sistema pensionistico (prima delle riforme Dini e Fornero) che ha trasferito risorse dai giovani agli anziani e ad alcune classi medie parassitarie (specie nell’impiego pubblico); la valanga di incentivi e trasferimenti a pioggia alle imprese, inutili e spesso dannosi, per tutto il dopoguerra; gli sprechi nella sanità, nella scuola, nella pubblica amministrazione in generale, nella gestione della politica e degli enti locali; l’assistenza sanitaria ed i servizi pubblici (trasporti in particolare) gratuiti anche alle fasce di popolazione in grado di contribuirvi.
Il vero Progressismo
Siamo ora ad un punto di svolta: l’azione combinata della globalizzazione economica, che penalizza i sistemi sociali più statici, e delle distorsioni dello stato sociale sopra accennate sta creando, oltre alla crisi del debito, una diseguaglianza insostenibilmente cattiva, quella in cui una porzione troppo grande della popolazione perde di fatto il diritto a partecipare allo sviluppo del paese, isolandosi in uno stato di marginalità fatto di disoccupazione, ignoranza, disgregazione familiare.
Anche i ricchi e i privilegiati devono capire che le risorse vanno ora concentrate sull’obiettivo di ridare a questi cittadini pari opportunità di salire la scala sociale. Se non per spirito etico o buonismo, un’agenda veramente progressista serve a non tagliare fuori il paese dalla competizione internazionale, perché un paese socialmente statico è perdente nell’economia dell’innovazione.
Il vero progressismo di cui abbiamo bisogno oggi fa a cazzotti con il vecchio populismo di sinistra, quello per cui tutti i diritti vanno difesi ad ogni costo.
Occorre in Italia, come altrove in Occidente, fare i conti con le risorse che abbiamo e assumersi la responsabilità dei danni fatti e dei debiti accumulati.
Un agenda veramente progressista significa quindi concretamente:
- lotta spietata all’evasione fiscale e un sistema impositivo (globalmente considerato, cioè includendo imposte dirette, indirette, contribuzioni ai servizi pubblici, inclusi sanità, istruzione, trasporti) realmente progressivo;
- sistema pensionistico contributivo per tutti con prestazioni allineate ai versamenti, all’evoluzione del reddito nazionale ed alle aspettative di vita (obiettivo già in gran parte conseguito con le riforme Dini e Fornero);
- sistema sanitario pubblico che assicuri la copertura universale dei livelli minimi di assistenza, assicurando risorsestandard pro capite ad ogni articolazione del sistema e contrastando duramente gli sprechi e le “creste” operate da mafie e burocrazie politiche;
- sistema scolastico che assicuri a tutti un livello crescente di apprendimento e l’accesso ai livelli più alti degli studi indipendentemente dal reddito; lotta feroce alle baronie, alla burocrazia e all’inefficienza; organizzazione ispirata alla valutazione della performance, al miglioramento continuo della didattica ed alla valorizzazione del merito, specie nelle Università; concentrazione di risorse addizionali nelle aree più svantaggiate (periferie multietniche, zone a alta densità mafiosa ecc.) con piani di recupero ed allineamento agli standard minimi;
- sistema di protezione sociale che assicuri un reddito minimo garantito a fronte della disponibilità degli individui, ove possano, a studiare, formarsi, effettuare stage lavorativi o prestare servizi di pubblica utilità (vedi i modelli scandinavi); lotta all’assistenzialismo clientelare e parassitario; sostegno speciale ai nuclei familiari, specie con figli minori;
- contratto unico di lavoro che elimini il sistema duale di protezione; maggiore flessibilità in uscita dal lavoro a fronte di sistemi organizzati di outplacement con oneri anche a carico delle imprese;
- lotta alla burocrazia nella pubblica amministrazione; mobilità e fine del posto garantito per i dipendenti pubblici;
- massima facilitazione dell’accesso alle professioni; sburocratizzazione delle autorizzazioni all’avvio di imprese; concentrazione delle risorse pubbliche sull’avvio di nuove aziende, l’innovazione, le reti e gli incubatori di impresa;
- lotta alle rendite di posizione ad ogni livello, in particolare nella selezione e retribuzione della classe dirigente politica; sistema elettorale con collegi uninominali e primarie; fine dei finanziamento pubblico ai partiti (da sostituire con un sistema trasparente di piccole donazioni) e alla stampa; lotta dai conflitti di interesse e ai monopoli; promozione attiva della pluralità informativa e della diffusione dell’accesso ad internet;
- equilibrio tendenziale del bilancio pubblico, con sforamenti in esclusiva funzione anticiclica soggetti alla certificazione di autorità di garanzia.
Si tratta in fondo di principi già contenuti nella nostra Costituzione, oggi attuale più che mai.
Luca Romanelli – www.lucaromanelli.it