La maxi-provincia del Piceno, nel progetto attuale di ristrutturazione delle province italiane, deve unificare i territori delle province di Macerata, Fermo e Ascoli Piceno. Il dibattito è già cominciato e i rappresentanti delle tre province cercano di far valere le loro ragioni. Non discuto il progetto di legge che deve ridurre le spese e riorganizzare in maniera più attuale la Regione Marche. Se c’è questa necessità dobbiamo cercare di profittarne nel modo migliore possibile per lo sviluppo futuro del nostro territorio e per limitarne gli errori. L’attuazione da parte del Governo dei Tecnici si presuppone sia libera da intromissioni politiche e localistiche. Le tre province ipotizzate: Pesaro-Urbino; Ancona e il Sud Piceno corrispondono ad una visione storica e di ampio respiro europeo. Già Napoleone Bonaparte del resto aveva diviso le Marche in tre Dipartimenti o Prefetture: del Metauro con capitale Ancona; del Musone con capitale Macerata, del Tronto con capitale Fermo. I due territori di Macerata e Fermo (in gran parte unificati nel passato dallo Stato di Fermo inserito nello Stato Pontificio) hanno molte caratteristiche comuni e soprattutto hanno in comune lo sviluppo economico che si è fondato nel passato su una agricoltura fiorente con la mezzadria e più recentemente fino ad oggi sullo sviluppo di una industria prevalentemente calzaturiera e su un artigianato di lusso che hanno determinato il cosidetto modello marchigiano studiato e analizzato in tutto il mondo. Diversa la situazione di Ascoli Piceno, città dislocata nell’estremo sud della regione e a ridosso del territorio abruzzese: localizzazione decentrata e scomoda rispetto all’intera zona presa in considerazione (la futura Provincia del Sud Piceno). Diversità che è stata sottolineata sin dal 1950 con la istituzione della Cassa del Mezzogiorno che ha inserito Ascoli e venti Comuni limitrofi nel provvedimento di cospicui aiuti finanziari per sostenere un territorio sottosviluppato, mentre Fermo con altri 48 Comuni, appunto dell’area fermana, ne sono rimasti al di fuori. Ancor di più il territorio maceratese. Aiuti comunque che non sono serviti, purtroppo, a far nascere e a far funzionare una economia autonoma: le industrie create con i finanziamenti della Cassa del Mezzogiorno non hanno mai decollato e sono in gran parte già chiuse. Il territorio di Ascoli Piceno dunque differisce profondamente da Fermo e Macerata per moltissime caratteristiche: si può eguagliare alla situazione del Mezzogiorno d’Italia, specialmente per la sua reiterata tendenza a incamerare aiuti assistenziali e governativi senza avere capacità propria di crescita. Non si capisce quindi per quali ragioni il Ministro Patroni Griffi e l’onorevole Mastella suo supporter dovrebbero proporre Ascoli Piceno quale nuovo capoluogo della Provincia allargata (cfr. articolo del 24 luglio sul Corriere Adriatico e interventi successivi) date tutte le caratteristiche elencate. Del resto basterebbe da parte del Ministro di un Governo Tecnico uno sguardo alla carta geografica delle Marche per rendersi subito conto di un errore madornale senza giustificazione. Per fare oggi il punto della situazione concreta del territorio suggerisco ai rappresentanti istituzionali e politici di proporre per ragioni di equità storico amministrativa e di riequilibrio, che il governo della provincia allargata sia stabilito a Fermo e per alcune validissime ragioni: 1. perché Fermo dando un semplice sguardo alla carta geografica delle Marche risulta il punto centrale del territorio da unificare 2. perché Fermo è situata sulla costa vicino al mare, dispone di un porto di 1000 posti barca all’interno della famosa macro-area adriatica. È servita dall’autostrada A14 con due caselli a nord con quello di Porto Sant’Elpidio e a sud quello di Fermo-Porto San Giorgio. È inoltre inserita sulla linea ferroviaria adriatica con una stazione Porto San Giorgio Fermo, che dovrebbe essere potenziata. Non ha comunque bisogno, come Macerata e Ascoli, situate nell’interno, di linee secondarie ed accessorie per le comunicazioni ferroviarie. 3. perché Fermo, rispetto a Macerata, non solo non ha avuto l’amministrazione provinciale del suo territorio sino alla giusta recente istituzione, ma non ha i due poli culturali trainanti e sovvenzionati dallo Stato che sono la fiorente ottimamente gestita Università e la famosa Arena Sferisterio con la sua stagione. 4. Sul canone di valutazione generale adottato dal Governo riguardo alla popolazione del più numeroso capoluogo provinciale, c’è da tenere presente che la somma dei due centri Fermo e Porto San Giorgio (un continuum abitativo, edilizio e sociale), costituiscono una città di circa 60/65.000 abitanti. Per non parlare del continuum tra Lido di Fermo e Porto Sant’Elpidio! 5. Quinto ma non ultimo motivo è dunque il fatto storico, più volte rilevato, che Fermo ha subito da 150 anni un ridimensionamento amministrativo voluto dal potere centrale senza giustificazioni oggettive e concrete: castrata dalla Monarchia dei Savoia dopo l’unità d’Italia, per ostilità politica nei confronti della troppo potente e ricca Archidiocesi fermana, che ancora oggi ingloba il territorio più fiorente di Macerata. Il suo Arcivescovo Cardinale Filippo De Angelis fu trasferito addirittura a Torino in domicilio coatto per otto anni da Cavour. Ora in età ormai repubblicana e di convivenza civile con la Chiesa e i suoi rappresentanti è ora di riconoscere a Fermo, per una equità storico amministrativa e politica, la sua posizione centrale nel Piceno, le sue caratteristiche geografiche e strutturali, le sue capacità imprenditoriali e culturali. È ora di riconoscere che Fermo e il Fermano nonostante le vicende storiche avverse (cfr il trasferimento del capoluogo provinciale del 1861 ad Ascoli, la Cassa del Mezzogiorno assegnata ad Ascoli dal 1950 al 1984 e negata a Fermo) non si sono mai ancorati al passato, ma hanno sempre cercato vie nuove sia nell’economia, sia nella relazioni commerciali, sia nella cultura e nella Scuola proiettandosi sempre nel futuro. Fermo ha sempre amministrato un territorio economicamente vitale in cui le classi popolari hanno esplicato attivamente una loro funzione autonoma che ha permesso un moderno sviluppo dell’agricoltura mezzadrile e delle manifatture a domicilio nelle campagne (come nel modello della rivoluzione industriale inglese). Da sottolineare è l’importanza del porto nei periodi economicamente più attivi e la giurisdizione sul litorale adriatico detenuta da Fermo per secoli dal Potenza al Tronto, poi dal Chienti al Tronto e infine dal Chienti al Tesino fino al 1927. Il grande patrimonio culturale ed artistico di cui il Fermano ha usufruito per secoli nelle città e nei Castelli oggi Comuni, non è stato di impedimento di chiusura aristocratica, ma motivo di evoluzione e orgoglio per tutte le classi sociali che hanno teso ad adeguarsi ad un modello di vita civile e urbana. La cultura del passato non ha impedito la novità ma è stata il supporto delle idee. Ho fatto queste riflessioni e vorrei fossero approfondite da altre voci e con altri argomenti. Io le ho poste sul tavolo per vagliarne la validità e l’importanza agli occhi degli Amministratori, degli Enti, della Regione Marche e del Governo centrale. Per essere equi nei confronti della storia e forti nei confronti del futuro, alleati di un pensiero amministrativo governativo e non per interessi particolaristici e localistici. Fermo, 2 agosto 2012 Teresa Romani Adami - teresaromaniadami@alice.it