Quando nei primi mesi dell’anno la BCE elargì fiumi di liquidità erano in pochi a ritenere che tutta quella massa di danaro non avrebbe sortito alcun effetto positivo se non quello di migliorare i conti delle banche mentre erano in molti a sperare che quei soldi sarebbero serviti a risolvere i problemi di liquidità sofferti dal sistema economico. I fatti hanno dimostrato che i primi avevano ragione mentre i secondi avevano torto. Le magie della stampante non hanno funzionato, lo stampar denaro da solo non è mai bastato, e non basterà in futuro a produrre sviluppo. Il deleveraging è, infatti, inesorabile: nel mondo, ma in quello occidentale in particolare, c’è troppo debito rispetto all’economia reale, ma gli Stati e le banche centrali continuano a contrastare questo fenomeno immettendo sempre più liquidità nel sistema, tentando quindi di arginare il problema, non curandone la causa, ma anzi incrementando la portata delle crisi e la fenomenologia della malattia, sino a morte possibile del paziente. La politica monetaria eccessivamente espansiva ha illuso i governi che da sola sarebbe bastata a sanare tutti i problemi consentendo il mantenimento dei molti vizi antichi su cui poggiava un illusorio consenso popolare. Le cronache ci dicono che le cose stanno purtroppo diversamente. L’impennata degli spread segnala in maniera inequivocabile che un sempre maggior numero di gestori riposiziona i propri portafogli vendendo titoli periferici, le cui quotazioni cadono inesorabilmente, ed acquistano titoli “core” che crescono fino all’apparente paradosso dei rendimenti negativi. Che cosa significa in soldoni tutto questo? Semplice, c’è un numero crescente di speculatori che si sta preparando all’euro a due velocità e cioè all’euro del nord, forte e rivalutato, rispetto all’euro mediterraneo, debole e travicello. L’entità dell’eventuale rivalutazione del primo rispetto al secondo misurerà i profitti della speculazione. E’ evidente che l’epilogo dell’euro a due velocità non corrisponde agli interessi italiani ma è altrettanto evidente che una forte e rapidissima correzione di rotta alla spesa pubblica, che interrompa la spirale deficit-debito, s’impone. Insomma, dopo anni ed anni di “spending di più” non poteva non arrivare una durissima “spending review”. E la spending review sarà tanto più dura quanto più lunga è stata la festa a tarallucci e vino che ha contraddistinto il nostro Paese. Ora si sente parlare della macelleria sociale, di attacco alle conquiste dei lavoratori e via di amenità in amenità senza che ci si renda conto che quanto più ci sforziamo di sostenere l’insostenibile, quanto più ci ostiniamo a difendere l’indifendibile, tanto più i mercati si convincono dell’incapacità dell’Italia di rimettersi sui binari e quindi ….. vendono BTP ed acquistano Bund sulla base della convinzione, che noi stessi contribuiamo a rendere certa ed assoluta, dell’ineluttabilità dell’euro a due velocità. La spending review è senza dubbio necessaria per contenere il deficit del bilancio pubblico ma non è l’arma giusta per contrastare l’eccesso di debito accumulato in passato. Occorre dunque prepararsi ad accettare una forte cura dimagrante della pubblica amministrazione che, come noto, in Italia non si concentra sui soli servizi essenziali ma estende i suoi tentacoli in mille e mille attività. Il motivo dell’ipertrofia della P.A. sta tutto nella malcelata bramosia di posti di comando cui una vorace classe politica ci ha da tempo abituati. Senza riguardo per le competenze specifiche, gli ambiti posti nei vari CdA vengono distribuiti sulla base di delicatissimi equilibri fra partiti o fra gruppi di potere all’interno di questi tanto che se riciclassimo i rifiuti urbani con la stessa efficienza con cui ricicliamo i politici saremmo un esempio anche per molte città del nord Europa! L’impervia strada verso l’efficientamento della Pubblica Amministrazione, contro la quale si è subito levato il fuoco di sbarramento della parte peggiore dell’Italia, sembra dunque avviata un attimo prima del redde rationem e v’è da augurarsi che i saggi vincano e le cicale vengano definitivamente tacitate. Il processo di normalizzazione del Paese in corso. Non è però una corsa sui 100 metri, ma una maratona, è un processo lungo e costante, che deve essere caparbiamente portato a compimento sapendo che ogni eventuale segnale positivo non deve essere considerato per allentare la presa ed ammorbidire gli obiettivi, ma può essere la trappola di un sistema insostenibile e destinato all’implosione. Insomma che sia il senso civico a vincere sugli interessi particolari e di parte. Altrimenti le difficoltà economiche e finanziarie di questi giorni potrebbero apparire persino bazzecole rispetto al futuro che si prospetterebbe e potrebbero fatalmente riecheggiare le parole del celebre conterraneo: “Ahi pentirommi, e spesso, ma sconsolato, volgerommi indietro.”
Marchetto Morrone Mozzi