L’interessante conferenza Rotary-Lions Fermo del 25 Novembre sulle “basi neuronali delle decisioni economiche” ha stuzzicato ulteriormente la curiosità che mi arrovella da qualche tempo sui temi del rapporto tra mente e corpo, coscienza e libertà. Sono temi complessi ed ardui per i non addetti come me. Tuttavia mi sembra di capire che il mondo scientifico e gran parte della filosofia contemporanea, specie di matrice anglosassone, ami il “paradigma del computer” per spiegare la mente e la sua relazione con il nostro agire. Un computer è un sistema completamente deterministico in cui in ogni istante è possibile descrivere lo stato delle molecole che lo compongono e lo schema funzionale che da un dato input conduce all’output corrispondente (ad esempio cliccare su un’icona per richiamare un’immagine). Normalmente però il funzionamento del computer non viene descritto a livello molecolare, perché sarebbe complicato e sostanzialmente ridondante per la gran parte degli scopi. Usiamo invece dei concetti di livello superiore, che potremmo chiamare “astratti”, per agevolare il compito. Così parliamo di “programmi”, “linguaggi di programmazione” o “algoritmi” che appunto “astraggono” e “comprimono” l’informazione circa i flussi di elettroni e le altre caratteristiche fisiche che fanno funzionare il PC. Ma un programma in realtà non esiste: è solo un’idea per descrivere sinteticamente lo stato ed il movimento delle particelle elementari nel sistema, cioè ciò che la macchina realmente è. Secondo il paradigma computazionale della mente, i chip di silicio ed i circuiti in essi contenuti corrispondono ai neuroni ed alle loro connessioni, mentre i “programmi” sono l’equivalente del nostro linguaggio, dei concetti, delle teorie. I segni, le idee e le sensazioni umane, quindi, non sarebbero anch’essi che approssimazioni astratte di una data configurazione dei neuroni e delle loro connessioni. Le nostre decisioni, quindi, potrebbero sempre essere ricondotte a queste configurazioni, che ne costutuiscono la vera causa reale. Le teorie psicologiche, le antropologie ed a maggior ragione l’idea di una mente immateriale distinta dal corpo non sarebbero che finzioni più o meno valide a livello euristico (cioè approssimativo) per “spiegare” il comportamento umano, ma prive di sostanziale autonoma realtà. Il modello computazionale è interessante perché si presta all’indagine scientifica ed all’accumulo sperimentale di conoscenze ed informazioni universalmente accettate, molto di più di quanto permettano la psicologia, la filosofia e, naturalmente, la scienza economica. Tuttavia esso suscita in me preoccupazioni e dubbi che forse non risolverò mai. Le preoccupazioni riguardano queste domande: se ogni mia azione, decisione o sentimento sono rigidamente determinati da una successione causale di fenomeni fisiologici del mio cervello, che senso ha dire che io (e gli altri) amiamo oppure ci preoccupiamo per qualcuno o qualcosa? E che senso ha affermare che qualcuno sia responsabile di un’azione, magari un omicidio? Non mi sembrano domande banali, perché riguardano, da un lato, quello per cui la vita vale la pena di essere vissuta (gli affetti, le relazioni) e, dall’altro, le fondamenta stesse della civiltà e del diritto. I dubbi riguardano invece la validità tecnica del modello. I neuroni in un cervello sono circa 100 miliardi e credo che ciascuno sia connesso non solo con il suo vicino, ma con moltissimi altri anche distanti. Inoltre la rete neuronale subisce una quantità di input sensoriali interni ed esterni molto elevata rispetto al computer. Ne segue che il numero delle possibili configurazioni neuronali, dato dal calcolo combinatorio, potrebbe raggiungere dimensioni che vanno aldilà della possibilità di una descrizione (e predizione) analitica completa. Esistono infatti limiti alla quantità di informazione che il nostro universo può computare. Le interazioni neurali, inoltre, non sembrano seguire funzioni lineari come quelli dei computer, cosa che ne complica enormemente l’analisi. Non è forse un caso che al momento la scienza ha fatto importanti ed utilissime scoperte circa la fisiologia del cervello e le aree coinvolte in particolari decisioni o emozioni, ma è ancora agli albori nel determinare come dai processi fisiologici si originino sensazioni, quali la visione di un colore (o altri qualia) o parole. Tali limiti potrebbero essere superati dalla scienza in futuro, oppure si potrebbe scoprire (come ha fatto Goedel in campo matematico) che essi sono connaturati al problema e quindi insolvibili. In questo caso rimarrebbe uno spazio, misterioso, per la libertà umana, un limite, quello dell’ “io penso”, precluso all’investigazione scientifica. Luca Romanelli