Giustizia: il disastro da cui non vogliamo uscire - di Luca Romanelli – www.lucaromanelli.it Quando si parla di declino italiano si intende questo: il senso di paralisi che ci coglie quando ci rendiamo conto che problemi gravi, come il malfunzionamento della giustizia civile e penale, sono destinati a marcire per gli interessi miopi della politica politicante o delle corporazioni che strangolano il Paese. La protezione di tali interessi è affidata all’indicazione di false priorità, che sviano l’opinione pubblica ed occupano i calendari parlamentari con il risultato di aggravare la situazione invece di avviarla a soluzione. Negli ultimi anni, per dirne una, abbiamo assistito ad un escalation di leggi che introducono, aggravano o complicano le fattispecie e le procedure penali, prevedendo il carcere in luogo di sanzioni amministrative o misure alternative. Si tratta di misure sovente introdotte sull’onda di fatti eclatanti di cronaca e volte a placare un’opinione pubblica (spesso artatamente) impaurita. Questa legislazione, insieme all’abuso della carcerazione preventiva a fini mediatici o di indagine, sta contribuendo a scassare la giustizia penale ed il sistema delle carceri, ribaltando il celebre principio di Beccaria: invece di una pena certa ed umana abbiamo un sistema bestiale che punisce sovente solo i poveracci, quelli che non riescono a comprarsi un buon avvocato ed una prescrizione. Il 40-50% dei detenuti è in attesa di giudizio e la metà di questi sarà assolta. Il carcere sovraffollato diventa l’università della violenza e della sopraffazione invece che un percorso di riabilitazione. In campo civile, la lentezza abnorme dei nostri processi è uno dei fattori deterrenti per gli investimenti esteri ed una palla al piede per la competitività del sistema economico. Gli avvocati in Italia sono oltre 200.000, 33 ogni 10.000 abitanti contro i 7 della Francia. Sono la professione più rappresentata in Parlamento, protetta dalla concorrenza da sistemi arcaici di tariffazione obbligatoria ed Ordini che poco possono garantire la qualità e la deontologia del servizio reso. La categoria ha un oggettivo interesse a prolungare le cause per massimizzare l’utile in rapporto all’impegno. Alla lobby degli avvocati da manforte quella dei magistrati. Tra le varie circoscrizioni giudiziarie ci sono enormi differenze nei carichi di lavoro e negli indici di efficienza. Eppure sembra impossibile implementare misure di razionalizzazione delle risorse, a partire dal ridisegno delle circoscrizioni e l’introduzione di nuove tecnologie e forme organizzative. Non è poi vero che spendiamo poco per la Giustizia: 70 euro procapite rispetto ai 58 della Francia, dove i processi durano la metà e costano un terzo in meno ai privati. E’ che spendiamo male per non pestare i piedi alle convenienze degli addetti ai lavori. La guerra insensata alla magistratura condotta da una politica che vuole giustificare col consenso il proprio malaffare ha contribuito a rafforzare in quest’ultima la volontà di conservazione e la presunzione di intoccabilità dei propri assetti. Un recente convegno del Senato, promosso dai Radicali, ha messo a nudo problemi e molte ovvie soluzioni, insieme ad una sconsolante consapevolezza (penso all’intervento della Buongiorno, Presidente della Commissione Giustizia della Camera) dell’impotenza della politica a mettervi mano. Se cittadini e forze sociali non osano pretendere giustizia, la politica e gli interessi corporativi continueranno a negarla. 20 Ottobre 2012