L’emergenza della pandemia da coronavirus è sicuramente la crisi più grave che l’Italia e il mondo si trova ad affrontare dalla fine della seconda guerra mondiale. E’ un evento drammatico che mette in pericolo la vita di ciascuno di noi e che sconvolge, con il fermo imposto, la filiera produttiva di ogni settore. Le notizie drammatiche diffuse sui media 24/24 ore creano in tutti noi un crescente stato d’ansia e di intimo disagio, alimentato dall’obbligo, giusto per carità, di stare chiusi in casa e uscire il meno possibile e solo per più che giustificati motivi. “Stare chiusi in casa”, da sani poi! Una condizione improvvisa, imprevista, impensabile fino a qualche settimana fa.
Una reclusione forzata, anche se logica per il fine che si prefigge, che però con il passare e con l’abbondare del tempo a disposizione ci induce a riflessioni e attività di cui avevamo perso pratica e coscienza per mancanza di tempo o cattivo uso dello stesso.
Anzitutto la riscoperta della casa, casa amata ma tutto sommato vissuta spesso frettolosamente; ecco allora che angoli e settori prima negletti tornano alla nostra attenzione, primo fra tutti il nostro studio o comunque il settore dove abbiamo la nostra piccola biblioteca con annesso armadio dove via via vengono stipate le cose più varie che impicciano per casa e di cui a scalare nel tempo si perde quasi la memoria. “Toh! quel saggio sulla seconda guerra mondiale che non trovavo più e volevo tanto rileggere.
Guarda guarda, la foto di classe della terza media, tutti sorridenti alla vita che ci stava aspettando, chissà che fine hanno fatto Alberto e Vittorio, sono anni che non li sento. E questo quaderno con la copertina consunta dal tempo? Ma dai! Il quaderno con i pensieri e la firma dei compagni di scuola e nelle ultime tre pagine le poesie scritte per Caterina, la più bella della classe, mai recapitate a destinazione”.
Poi ci sono gli aggiornamenti, costanti, in tempo reale, via quotidiani, TV, web, dall’amico che ti telefona se per caso ti fosse sfuggito qualcosa; l’ANSA prima dei suoi comunicati farebbe bene a farci una telefonata per le ultimissime notizie.
Ma in tutta questa congerie di notizie ed eventi drammatici che tutti conosciamo, e forse proprio per questi, si fa strada man mano una inaspettata presa di coscienza emotiva che è il riappropriarsi del senso d’orgoglio di appartenenza ad un Paese straordinario, con bandiere italiane improvvisamente apparse sui balconi delle case, cori spontanei di inni nazionali, in un Paese che nel comune sentire oltre i suoi confini ha scarso senso dello Stato e dedito soprattutto al guicciardiniano “Suo particulare”.
Ebbene, oltre ad essere cittadini di uno scrigno di arte e cultura, stiamo anche dimostrando che in condizioni eccezionali, come anche nel nostro passato, siamo capaci di coesione, disciplina, capacità organizzative, dedizione al bene comune anche a rischio della propria vita.
Esempi innumerevoli scorrono sugli organi d’informazione ogni giorno: anzitutto siamo stati i primi in Europa e nel mondo, dopo la Cina, ad adottare misure restrittive preventive, sia pure con qualche iniziale esitazione e ritardo per l’eccezionalità di un evento improvviso, unico e sconosciuto, poi: strade deserte per l’osservanza della consegna a casa; rapida riconversione in atto di aziende per la produzione di apparecchi per la respirazione e mascherine; ospedali in sofferenza per l’eccezionale affluenza di pazienti gravi ma in progressivo adeguamento organizzativo alle necessità del momento; medici, infermieri e gli altri operatori sanitari che si prodigano al limite della resistenza e con costante rischio di contagio; lo Stato che bandisce una richiesta di assunzione di 300 medici da distribuire negli ospedali di frontiera dove si combatte ogni giorno per salvare vite rischiando la propria: immediata la risposta con quasi 800 domande. Grazie a tutto questo da qualche giorno sembra che almeno nelle zone più colpite si registri una stasi o diminuzione di contagi e decessi; presto per definirla una inversione di tendenza ma sicuramente siamo sulla strada giusta.
Particolarmente gratificanti per il nostro orgoglio nazionale le manifestazioni di stima e affettuosa vicinanza nei nostri confronti da parte degli altri Paesi, in attuale affanno per aver a lungo sottovalutato il problema. Trump che posta un video delle Frecce tricolori sul suo profilo (70 milioni di follower) e scrive “Amiamo l’Italia”; Johnson: “Siamo alcune settimane indietro rispetto all’Italia. Gli italiani hanno un sistema sanitario eccezionale”; Ursula von der Leyen, Presidente della Commissione UE: “Siamo profondamente colpiti da come state affrontando questa crisi. Siete un esempio meraviglioso per il resto d’Europa. Lo ripeto: siamo tutti italiani”.
Si poteva fare meglio? Forse, ma è indubbio che non stiamo facendo male. E comunque in questo frangente andrebbero messi da parte i violenti accenti politici di tesi contrapposte che ogni tanto, sebbene con minor lena che in passato, sembrano riapparire e non sarebbe male ricordarsi di una frase, lapidaria, di un grande del passato recente, Winston Churchill: “Right or wrong, this is my country”.
Giuseppe Amici