“Degno continuatore della grande tradizioni italiana degli antichi maestri nella difficile tecnica dell’affresco” Sigismondo Nardi meriterebbe fama maggiore di quella, troppo ristretta all’ambito locale, che il tempo gli ha dato.
Nacque a Porto San Giorgio il 14 marzo 1866, figlio del sagrestano della chiesa di San Giorgio. Notato per la sua creatività artistica, grazie all’aiuto dello zio fu mandato a studiare disegno a Fermo con Silvestro Brandimarte. Ma il suo era un talento naturale che andava sollecitato, e lo stesso insegnante gli consigliò di andare a Roma, dove si trasferì per entrare all’Accademia di belle arti, allievo di Domenico Bruschi, del quale divenne ben presto l’allievo prediletto tanto da vedersi affidare importanti incarichi e lavori.
Venuto in contatto, sempre a Roma, con il giovane ma emergente architetto fermano Giuseppe Sacconi, fu da questi affiancato a Cesare Maccari nei lavori di decorazione di una delle cappelle laterali della Basilica di Loreto in rifacimento. Ancora a fianco del Maccari ma questa volta a Roma, fu impegnato in alcuni affreschi apalazzo Madama, sede del Senato.
Portato particolarmente verso la tecnica dell’affresco, proprio verso tale forma artistica indirizzò presto e quasi esclusivamente la sua attività, divenendo abbastanza famoso e ricevendo numerose committenze. Lavorò così ancora a Roma, nelle sue Marche (a Fermo, con Cesare Mariani nel duomo di Ascoli, a Magliano di Tenna), in Abruzzo (a Teramo), in Puglia (a Nardò). A Trento fu chiamato a decorare volta, cupola e abside della chiesa di Santa Maria del Concilio e lasciò anche alcune tele.
Nella sua Porto San Giorgio realizzò un lavoro di grande effetto e di originale concezione: il soffitto del teatro comunale. A Fermo decorò l’abside della chiesa di San Gregorio Magno: le immagini raccontano la vita e le imprese del grande papa che fermò Agilulfo re dei Longobardi, la loro suggestione è di grande impatto e dà alla chiesa un solare effetto scenico. Sue le decorazioni nella parrocchiale di Santa Maria a Torre di Palme.
La sua passione e la sua vena artistica lo portarono a cimentarsi anche in altre tecniche, il disegno, il pastello. Amò particolarmente la ritrattistica: di questo suo lavoro restano molte opere e soprattutto molti bozzetti in collezioni private.
Non fu ambizioso e non cercò mai la fama. Proprio per questa sua natura e per la delicatezza della sua fibra fisica, visse ai margini dei fermenti e dei movimenti artistici del suo tempo, lontano anche dalla mondanità e dai salotti importanti.
Come è stato scritto in una biografia editata per il centenario della nascita, «si accontentò di una vita serena e modesta, tutta dedicata alla famiglia e all’arte». Non sarebbe, per questo, potuto vivere lontano dal suo paese, dove morì la vigilia di Natale del 1924.
Giovanni Martinelli