Per un caso fu ordinato sacerdote nel 1891, l’anno della Rerum novarum. Romolo Murri nacque a Monte San Pietrangeli il 27 luglio 1870 ed è tuttora una delle figure più complesse e emblematiche del movimento cattolico italiano.
Dopo aver studiato a Fermo si laureò in teologia a Roma dove seguì i corsi di Antonio Labriola, al cui pensiero formò il primo impegno sociale. Dimostrò ben presto tendenze progressiste, assertore della necessità di un nuovo ordinamento sociale e di un impegno politico dei cattolici, e trovò terreno fertile grazie alle aperture proposte dall’enciclica di Leone XIII.
Scriveva: «Il Cristianesimo appartiene all’esterno, la democrazia è casa della storia». Erano gli anni dell’Opera dei congressi, quando fondò la rivista «Vita nuova» e, insieme, il movimento della Fuci, la Federazione universitaria cattolica italiana, che in futuro sarebbe divenuto il laboratorio di una nuova classe politica italiana. Fu lui stesso a promuovere un nuovo movimento di impegno sociale, la «Democrazia Cristiana», della quale la rivista «Cultura sociale» diventò voce ufficiale, che nel 1900 si trasformò in partito organizzato.
L’aspirazione di Murri era quella di creare un grande partito cattolico che, non condizionato dalle gerarchie della Chiesa, si impegnasse concretamente nel sociale e nella vita pubblica. Queste idee progressiste e la sua sempre più aperta contestazione ai vertici della Chiesa, a capo della quale nel frattempo era salito un rigoroso Pio X, lo portarono a uno scontro in campo aperto con il Vaticano.
Rispose allo scioglimento dell’Opera dei congressi, che lo aveva visto attivamente impegnato, con la costituzione della Lega democratica nazionale, ma ormai il suo pensiero politico era troppo «oltre»: la Chiesa lo ammonì sino a sospenderlo «a divinis» nel 1907. Questo lo portò a scendere personalmente in politica: l’anno successivo partecipò alle elezioni e venne eletto deputato nelle file radicali, definito da Giovanni Giolitti “il cappellano dell’estrema”.
Inevitabile (1909) la scomunica: abbandonò l’abito talare e, qualche anno dopo, si sposò. Dalle colonne delle sue riviste, Murri continuò la sua battaglia che però fu votata inesorabilmente all’insuccesso: i tempi non erano ancora pronti per recepire una concezione così moderna dell’impegno in politica. Si era ormai alla vigilia della grande guerra. Battuto nelle elezioni politiche successive, preferì non aderire al neonato Partito Popolare di don Sturzo, suo collaboratore a «Cultura sociale», di fatto l’erede del suo impegno, forse perché non voleva che il partito, nato dalle sue intuizioni e dalle sue lotte, fosse penalizzato dagli attacchi diretti verso di lui.
Visse così nell’ombra, scrivendo e collaborando, ma sempre meno assiduamente, ad alcune riviste. Morì a Roma il 12 marzo 1944, dopo essersi riconciliato con la Chiesa. Riposa a Gualdo di Macerata, dove aveva trascorso lunghi periodi della sua vita.
Giovanni Martinelli