Pio Bartolucci Godolini è una di quelle figure risorgimentali che andrebbero studiate e rivalutate. Nacque a Sant’Elpidio a Mare da Giovanni Battista, marchese di Castelletta, e dalla cingolana Carolina Castiglioni, nipote di Pio VIII, il 22 marzo 1836.
Alla caduta dello Stato pontificio fu chiamato a guidare la giunta provvisoria che salutò all’allora Porto di Sant’Elpidio re Vittorio Emanuele II in viaggio verso Napoli l’11 ottobre 1860.
Primo sindaco elpidiense, si dedicò con entusiasmo alla politica. Eletto consigliere provinciale nel collegio di Santa Vittoria, fu il primo presidente della nuova Provincia di Ascoli Piceno. Da sindaco firmò la protesta contro la soppressione della Provincia di Fermo, della quale fu convinto difensore quando, eletto in Parlamento come deputato del collegio di Montegiorgio, firmò insieme al collega fermano Vinci Gigliucci la proposta di legge per la restituzione del capoluogo, facendo anche votare nel 1862 un ordine del giorno al consiglio provinciale per il trasferimento del capoluogo a Fermo.
Bartolucci fu eletto per ben cinque volte in Parlamento. Di ferma fede risorgimentale, confermò con l’azione le sue convinzioni, partecipando agli ordini di Garibaldi nel 1866 alla terza guerra d’indipendenza, ricevendo il battesimo di fuoco a Contino. A Bezzecca il generale lo salutò personalmente dicendogli «hai fatto il tuo dovere!». Fu insignito degli ordini dei Santi Maurizio e Lazzaro e della Corona d’Italia.
Deluso dalla politica, che lentamente lo emarginò, sentendo venir meno gli ideali della sua giovinezza, si ritirò dedicandosi alle cure delle aziende agrarie di famiglia fra Sant’Elpidio e Servigliano, sempre presente, comunque, nelle attività cittadine. Fu fondatore e primo presidente (1872) della Cassa di Risparmio di Sant’Elpidio a Mare, presidente del Pio ricovero per anziani, della Commissione per il Collegio-Convitto femminile, deputato del Corpo Filarmonico municipale.
Politicamente sempre più vicino alle classi operaie, fu il riferimento delle associazioni popolari (presidente della Società Operaia) con le quali condivise l’impegno politico dei suoi ultimi anni: fu proprio il partito operaio ad eleggerlo per l’ultima volta in Consiglio comunale «dandogli quel seggio perché gli altri s’erano dimenticati» come scrisse Filippo Pio Massi.
Colpito da forti febbri nel corso dell’epidemia che portò in quell’anno molti lutti in tutt’Italia, morì per una broncopolmonite fulminante il 10 febbraio 1890.
Giovanni Martinelli