Tenendo per la Società Operaia una orazione in occasione del centenario della morte, Alberto Cettoli lo definì «un interprete ardito del futuro, di un futuro italiano e anche europeo». Il marchese Giuseppe Ignazio Trevisani fu un personaggio di grandi intuizioni, un decisionista in continuo movimento, convinto della necessità di aprirsi al futuro, alla ricerca di orizzonti più ampi per la sua città.
Nato a Fermo nel 1817 studiò nel Collegio Campana di Osimo. Di forti sentimenti liberali, partecipò nel 1848 ai moti risorgimentali organizzando a proprie spese un reparto di volontari. Deputato alla Costituente romana a fianco del compagno di studi Aurelio Saffi, votò per l’abolizione del potere temporale dei papi.
Alla restaurazione pontificia fu costretto a lasciare Fermo e a riparare a Firenze, dove sposò la figlia di Girolamo Bonaparte, ex re di Westfalia. Arrestato durante i moti di Ancona del 1859, fu condannato a morte ma ebbe salva la vita per l’intervento diretto di Napoleone III, cugino acquisito.
Da Cavour fu nominato segretario di legazione in Persia e, rientrato a Fermo all’avvento dello Stato unitario, dal 1861 al 1878 fu sindaco e, per cinque legislature, deputato al Parlamento. Mentre Fermo perdeva la provincia e l’antica importanza, comprese che dall’istruzione e dalla formazione professionale sarebbero potuti venire vantaggi per la crescita e la modernizzazione del territorio. l’incontro di uomini diversi per carattere, formazione e ideologia, che si uniscano per disegnare le linee direttrici della prima scuola industriale italiana in un dimensione che raccoglie l’orgoglio municipale, la cultura personale verso l’Europa, la politica che si fa impegno civico». Parole che sono un manifesto per una società nuova, moderna, europeista. Venne chiamato così a Fermo quell’Ippolito Langlois che trasformò la Scuola di arti e mestieri nel primo Istituto industriale italiano.
Fermamente convinto che lo sviluppo avesse bisogno di una nuova viabilità e di collegamenti migliori verso mare, Trevisani fece suo il rivoluzionario progetto dell’arch. Giovanni Battista Carducci per la realizzazione della «strada nuova»: nonostante la bocciatura del Consiglio comunale, autorizzò l’inizio dei lavori che finanziò a proprie spese.
Battuto nelle amministrative del 1878, nel 1881 divenne presidente della Società Operaia, continuando le sue battaglie politiche in Parlamento sulle aperture di Francesco Crispi, su proposta del quale nel 1890 fu nominato Senatore del Regno.
Morì a Fermo nel 1893 e solo più tardi si comprese la lungimiranza del suo progetto politico e sociale e il contributo che diede alla modernizzazione di Fermo e alla nascita della formazione professionale.
Giovanni Martinelli