Enrico VIII, il sovrano che sposò sei mogli, ne mandò due al patibolo e decretò lo scisma della Chiesa d' Inghilterra, terzogenito di Enrico VII ed Elisabeth, nacque a Greenwich il 28 Giugno 1491, un anno prima che Colombo partisse alla scoperta del Nuovo Mondo ed ascese al trono appena diciottenne dopo la morte del fratello Arthur, quand'era un bel ragazzo, alto, paffuto "come un cupido italiano", i lunghi capelli biondi, le strane ed arcuate sopracciglia, gli occhi neri e vivaci, la pelle bianchissima, un sorriso quasi infantile ad addolcire un faccione greve e arcigno.
Affascinante, attraente e cortese, gli piaceva la compagnia degli amici, la bella vita, le donne e quant'altro di leggiadro e divertente potesse offrire l'ambiente altolocato che al tempo frequentava.
I primi guai di salute compaiono nell'adolescenza, intorno al 1514, quando ammala di vaiolo e morbillo, mentre nel 1521, già Re, dispacci ufficiali di corte parlano di "febbri tormentose, dolori di testa e attacchi di gotte a un piede".
Grazie ad una dispensa appositamente concessa dal papa Giulio II, sposò nel 1509 la vedova del fratello Arthur, Caterina, sorella di Giovanna la Pazza (la legge ecclesiastica dell’epoca proibiva il matrimonio con la vedova del proprio fratello), ma dopo aver fallito numerose gravidanze, avendogli fatto morire cinque figli ed aver così deluso ogni ossessiva speranza di un erede maschio (allora non si giudicava conveniente che una femmina ereditasse il trono), la bella Caterina dagli occhi celesti venne ben presto ripudiata.
Non passò molto tempo che una damigella di compagnia dai capelli corvini e dagli occhi neri e penetranti, che rispondeva al nome di Anna Bolena, conquistò il cuore del Re, focoso ed intraprendente: ben presto Enrico la sposò e nel Settembre del 1533, nonostante i confortanti pronostici di stregoni, astrologi, indovini, chiromanti e degli stessi medici di corte che preannunciavano la nascita di un maschio, fu il sesso debole a prevalere ancora, una bella femmina sì, ma comunque femmina: "Avrei preferito un figlio cieco, sordo, storpio, imbecille, qualsiasi cosa, ma un figlio! Voi m'avete dato una figlia, voi mi svergognerete!".
Fu questa la reazione del Sire alla mancata nascita di un erede maschio e la cosa poi si complicò quando alla notizia che il 29 gennaio del 1536 egli era caduto così malamente da cavallo da essere in un primo momento creduto morto Anna, di nuovo incinta, ebbe un aborto per lo shock; l'ennesimo aborto proprio il giorno della morte della prima moglie Caterina (cosa che lo avrebbe liberato da un vincolo per un nuovo matrimonio) rappresentò la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso: di lì a poco il Re l'avrebbe inviata al patibolo con l'infamante accusa di incesto e adulterio.
Alla spasmodica ricerca dell’erede maschio al trono d’Inghilterra seguirono altri quattro matrimoni: quello con Caterina d’Aragona, che ebbe fino a sei gravidanze, tutte con esiti nefasti e poi con Jane Seymour, 25 anni, piccola di statura, non proprio bella, ma sentimentale, timida e semplice nell'insieme, che morì di febbre puerperale non essendosi mai ripresa completamente dopo aver partorito un bambino di sesso maschile, Edoardo, debole e gracile anch’egli, che a 17 anni si sarebbe poi ammalato per morire in poco tempo coperto di pustole e dopo aver perduto capelli, unghie, falangi delle mani e dita dei piedi.
Enrico riuscì a consolarsi due anni dopo, convolando a nozze con Anne, sorella del giovane duca di Clèves, donna alta, sottile, di media bellezza, dal portamento sicuro e dall'aria risoluta, la così detta "sorella del re", l'illibata regina, partner di un matrimonio pressoché platonico, mai consumato e presto annullato.
Nonostante che Enrico parlasse di sé come di un "uomo anziano", i suoi entusiasmi e pulsioni sessuali si riaccesero improvvisamente quando gli fu presentata una ragazza non ancora ventenne, Catherine Howard, già dama di compagnia di Anna di Clèves: il classico colpo di fulmine. Il re non riuscì a nasconderle il suo traboccante amore e pianse di gioia quando acconsentì di sposarlo, ma ella non contraccambiava il suo amore, anzi, stava letteralmente scavandosi la fossa spassandosela abbondantemente con i baldanzosi giovanotti che sfarfalleggiavano a corte, tanto che sedici mesi dopo le nozze venne condannata a morte e giustiziata il 13 febbraio del 1542.
Forse perché esperta, intraprendente e più scaltra delle altre mogli, la sesta, Catherine Parr, donna di eccezionale cultura e dal carattere forte e volitivo, riuscì a sopravvivere al Re, che sposò il 12 giugno del 1542 quando il decadimento fisico del sovrano, causato in parte dalla politica in parte dai suoi gravi problemi di salute, era già penosamente evidente, tanto che Caterina faceva più da infermiera che da moglie ed il matrimonio, così, non esitò in figliolanze.
Ma ahimè, non certo per colpa delle sei mogli e delle tante amanti, ma a causa di una malattia intrinseca del Re sta la spiegazione della ripetuta abortività e della conseguente impossibilità ad ottenere un erede maschio: la Sindrome di McLeod, una rara malattia genetica legata al cromosoma X, di cui sarebbe stato affetto Enrico VIII e che potrebbe aver cambiato le sorti della dinastia inglese dei Tudor e, con questa, della storia stessa dell’Inghilterra.
E' questa l'ipotesi sostenuta da Whitley e Kramer della Southern Methodist University di Dallas con un lavoro pubblicato su “The Historical Journal”: i due studiosi, analizzando la discendenza del sovrano, hanno ipotizzato che Enrico VIII fosse portatore di un particolare gruppo sanguigno incompatibile con quelli delle donne che aveva sposato e non solo, caratterizzato da antigeni sulla superficie dei globuli rossi, i così detti antigeni Kell, che inducono nella donna alla seconda gravidanza una sorta di alloimmunizzazione, con conseguente produzione di anticorpi anti-Kell, motivo di aborti ripetuti o mortalità perinatale alle gravidanze successive (come se l'organismo della madre "accetti" il primo figlio e "rigetti" poi i successivi). Una sorta di incompatibilità immunitaria fra marito e moglie che spiegherebbe i "reali" disastri riproduttivi, gli aborti ripetuti delle sue prime mogli ed amanti legittime e illegittime, dei bambini dati alla luce morti o sopravvissuti poco tempo dopo la nascita, una mortalità troppo elevata per poter essere giustificata dalle cattive condizioni sanitarie e igieniche dell'epoca o dalla malnutrizione.
Solo a partire dal 1529 si conoscono notizie ufficiali sulla salute del Re Enrico, grazie a dispacci ufficiali mai diramati prima, in quanto nulla doveva offuscare l'immagine di un sovrano sempre in perfetta salute fisica e morale, perennemente al meglio della sua efficienza.
Così apprendiamo che il re "si è slogato una spalla", "è irrequieto e insonne", ammala di "gotta" e "non può concedere udienze perché è affetto da raucedine, febbre e cattiva salute".
Nel gennaio del 1536, in seguito ad una brutta caduta da cavallo che gli rovina addosso mentre partecipa ad un torneo a Greenwich, si infortuna seriamente alle gambe, dando inizio ad una lunga serie di complicazioni che lo porteranno alla comparsa di ulcere che, a detta di Sir Goffrey Fole, "avrebbero fatto orrore a un povero" e per cui "non sarebbe vissuto a lungo nonostante l'autorità concessagli da Dio".
Alle ulcere, che l'avrebbero accompagnato tutta la vita, seguirono gonfiori a carico degli arti inferiori, che i medici di corte curavano con unguenti a base di perle magiche e olio di oliva e che, da buon farmacista di se stesso, il Re si preparava anche da solo. Altre volte veniva curato dal dottor G. Butts, che con un paio di forbici tagliava la calzamaglia e applicava sulle piaghe una spugna imbevuta di alcool e succo di mandragora, alternato ad un unguento a base di grasso di capra e piombo bruciato, allo scopo attenuare il dolore.
All’età di 49 anni, abbandonato ogni freno, mangiava e beveva a dismisura tanto che, vistosamente ingrassato, in pochi anni si rese necessario allargare di ben 50 cm il girovita delle armature, passato da 90 a 137 cm., un declino psicofisico che, da uomo dapprima descritto come atletico e fascinoso, energico, prestante, generoso e di grande personalità, lo trasformò in soggetto ingordo, obeso, dispnoico, pletorico e dal carattere iracondo, aggressivo, intollerante, dispotico e paranoico. Diventò un tiranno, irascibile ed intollerante, anche se appariva vecchio, melanconico, depresso e passava il tempo solo a sospirare e lamentarsi.
Il suo profondo cambiamento nel fisico e nel tono dell’umore, l’obesità con le conseguenti complicanze artrosiche, le ulcere e gli edemi a carico degli arti inferiori hanno indotto gli studiosi sin dal secolo scorso a ipotizzare che Enrico VIII fosse affetto da diabete o da sifilide, ipotesi quest’ultima smentita per l'assoluta mancanza di prove concrete al riguardo, quali l’assoluta impossibilità alle attività fisiche e sportive se mai fosse stato affetto dalla malattia venerea o il mancato riscontro nei numerosi dispacci ufficiali di corte di terapie mercuriali che i medici avrebbero sicuramente somministrato all’illustre paziente se ne avessero avuto il sospetto.
Secondo uno studio dell’accademica Susan Maclean Kybett pubblicato su History Today, non la carne delle sei mogli e delle numerose amanti, ma piuttosto quella di manzo, montone, cacciagione e di altri gustosi animali sarebbe stata la causa dei suoi innumerevoli malanni: una dieta micidiale ricca sì di proteine, ma assolutamente carente di vitamina C, contenuta soprattutto negli agrumi e nelle verdure fresche, elementi questi del tutto assenti dalla dieta “reale”, in quanto si riteneva che i prodotti della terra fossero esclusivo appannaggio dei contadini e dei poveri, mentre soltanto ai nobili era concesso gustare le succulente carni: da qui lo Scorbuto, gravissima ed ingravescente malattia che si manifestò molto presto con sintomi che divennero via via sempre più visibili, fino ad esserne la causa principale di morte. "Gli inglesi si ingozzano di carne sino all'inverosimile - annotò l'italiano Nicandro Nucio in visita alla corte di Enrico VIII - e hanno una fame insaziabile di cibo animale; sono ottusi e sfrenati nel loro appetito".
Lo Scorbuto è una malattia praticamente sconosciuta ai tempi nostri, ma frequente all’epoca a causa delle diete malsane e colpiva di preferenza i prigionieri e i marinai, categorie più frequentemente esposte ad una dieta priva di alimenti freschi. Enrico VIII presentava tutte le caratteristiche dei malati di Scorbuto: irritabilità, viso rosso e paonazzo, stomaco enorme e dilatato, edema del viso e delle gambe con piaghe ed ulcerazioni croniche, obesità, reumatismi, costipazione, vaghezza, coliche addominali, propensione a raffreddori e polmoniti. Sintomi questi tutti presenti nel nostro illustre paziente, mentre il solo mancante per una diagnosi definitiva è la scarsezza di dati relativi all'evenienza di emorragie che solitamente accompagnano questa malattia; d'altra parte, così come comunemente avviene nello Scorbuto, l'alito fetido del sovrano, ripetutamente menzionato dagli storici e nei dispacci ufficiali di corte, deporrebbe per un interessamento del cavo orale a causa di emorragie da necrosi delle gengive.
L'edema del viso che notoriamente accompagna lo scorbuto fu anche ritratto con estrema precisione da Cornelius Matsys in un dipinto del 1544, dove il Re viene raffigurato con la faccia incredibilmente gonfia, come sul punto di scoppiare, in particolarmente alle palpebre, fronte, guance, sotto gli occhi e in corrispondenza delle tempie, dove sono visibili vescicole di trasudato.
Col passar del tempo le ulcere si aggravarono ulteriormente, al punto che fu necessario cauterizzare le piaghe con ferri roventi e per spostarsi doveva essere trasportato in lettiga.
Il viso era divenuto così "orrendo", che alla moglie fu impedito di entrare nella stanza e quando, poco prima della morte, andò a trovarlo l'arcivescovo di Canterbury, il Re aveva perduto la parola e poté appena stringergli la mano: giaceva immobile nel letto, affannato, pallido, senza più la forza di reagire, la lingua rigonfia, le gambe ridotte a due gelide, immobili colonne.
Enrico VIII morì il 28 gennaio del 1547: quello che era stato un uomo dal fisico atletico e possente, alto più di un metro e ottanta, corposo al punto da personificare la stessa immagine del potere, era miseramente ridotto nel personaggio che tre secoli più tardi Charles Dickens avrebbe definito come "una macchia di sangue e di grasso nella storia dell'Inghilterra".
Paolo Signore