La Bce ha finalmente alzato il sipario sul tanto atteso “quantitative easing” sparando così le sue ultime cartucce. In buona sostanza la Banca centrale sarà per i prossimi 18 mesi il sicuro promittente acquirente di titoli di Stato, oggi in larga misura detenuti dalle banche, per un importo di 60 miliardi di Euro al mese. Attraverso tale misura nei bilanci delle banche si formerà una liquidità di notevoli dimensioni, pronta per essere impiegata nell’economia reale, cioè data in prestito a famiglie e imprese. Con il provvedimento adottato lo scorso 22 gennaio, la Bce ha completato il programma di misure espansive. Dopo aver ridotto il tasso di rifinanziamento principale al minimo storico dello 0,05% ed aver portato il tasso sui depositi al -0,20%, nei mesi scorsi aveva altresì messo in campo un programma di acquisto di covered bond e asset backed securities (Abs) con sottostanti prevalentemente riferiti a mutui e prestiti delle famiglie. Con l’ultima mossa, Draghi ha preso in contropiede i mercati portando il QE dai supposti 500 miliardi ad oltre 1.100 miliardi suscitando così l’iniziale entusiasmo degli operatori. L’allentamento monetario ha prodotto un generale rialzo delle Borse europee e la riduzione dello spread Btp-Bund che è sceso a 110 punti base, con un rendimento del Btp decennale avvicinatosi all’1,50%. Chi ha un mutuo (o un prestito) a tasso variabile indicizzato al tasso Bce vedrà una istantanea riduzione della rata mentre su nuovi mutui si potrà contrattare con la propria banca sapendo che le condizioni di mercato attuali sono ben diverse e più favorevoli da quelli di due o tre anni fa. La misura della Bce è invece penalizzante per chi dispone di liquidità da investire, nella misura in cui la riduzione dei tassi porterà ad una riduzione degli interessi che le banche saranno disposte a concedere per reperire capitali. Ma d’altro canto questo è proprio l’effetto voluto: chi ha liquidità sarà maggiormente indotto ad investire, considerato il basso o nullo rendimento offerto dalle banche sui risparmi. Le condizioni esogene sono dunque favorevoli. Alla misura adottata dalla BCE che tende a concedere un periodo significativamente lungo di bassi tassi d’interesse, si è accompagnato un indebolimento dell’euro contro tutte le principali valute mondiali favorendo così in maniera decisiva l’export. Inoltre il costo delle materie prime, in primis il petrolio, è sceso pesantemente negli ultimi mesi, complice la sempre più ampia disponibilità, favorendo le economie, come quella italiana, dove i costi di produzione erano negativamente condizionati dall’elevato costo dell’energia. Insomma, il terreno appare ben concimato e pronto per produrre messi in abbondanza. Dunque tutto bene? Certamente alla situazione cupa e senza apparenti vie d’uscita di qualche anno fa, oggi si è sostituita una fase nuova, si nota la convergenza di elementi favorevoli di indubbia efficacia e dalle notevoli potenzialità. Però attenzione che la strada per arrivare ad una durevole crescita economica è ancora lunga ed il superamento dei relativi ostacoli non è per nulla scontato. Keynes era solito ricordare un proverbio inglese che diceva così: “tu puoi portare un cavallo alla fontana ma non puoi costringerlo a bere”. Le misure odierne della BCE sembrano proprio sforzi volti a riempire d’acqua il fontanile ma se un cavallo non ne ha nessuna voglia, il fontanile resterà pieno e gli sforzi si saranno rivelati inutili. Anzi dannosi. E mi spiego. Le funzioni fondamentali attribuite alla moneta erano, e sono, quelle di mezzo di scambio e di misura del valore mentre quella di riserva di valore, utile per rinviare al futuro consumi odierni, ha preso piede in modo significativo solo successivamente. Quello che accade oggi è che la funzione di riserva, vale a dire la massa di asset finanziari alla quale corrisponde altrettanta massa d’indebitamento pubblico e privato, ha assunto dimensioni decine di volte superiori all’economia reale e mina il funzionamento del sistema finanziario medesimo. Non v’è chi non veda come l’economia reale da troppo tempo, specie nell’Eurozona, non riesce più a generare remunerazioni sufficienti per le masse monetarie in circolazione con la conseguenza che i rendimenti dei titoli pubblici, delle obbligazioni e azioni, sono in costante ed inevitabile calo. Se si pensa che l’economia pubblica e privata Italiana indebitata, prima del carico fiscale arrivato complessivamente a oltre il 43% del PIL, deve pagare, pur con le attuali flessioni dei tassi, circa 350 miliardi di euro all’anno al sistema finanziario con un onere pari a circa il 22% del PIL, si comprende facilmente come il peso delle masse di credito/debito sull’economia reale renda insostenibile la produzione stessa dei rendimenti. Tale contesto sembra ormai chiaro a tutti. Ciononostante le misure reali che possano riequilibrare il sistema non vengono ancora affrontate. Secondo la mia opinione, viste le eccezionali circostanze, i Governi europei (ma mi accontenterei che lo facesse quello italiano) commetterebbero un gravissimo, e forse irreparabile errore, se non sfruttassero la boccata di ossigeno e dovrebbero rapidamente varare misure economiche volte, da un lato alla razionalizzazione della spesa, spesso e volentieri senza freni e controlli, e, dall’altro, a promuovere investimenti pubblici e privati in grado di far crescere il PIL. In Italia, quanto a riduzione della spesa pubblica improduttiva non abbiamo che l’imbarazzo della scelta e l’auspicio è che finalmente si varino al più presto i significativi piani della “spending review” dando per una buona volta dimostrazione di serietà nell’amministrazione della cosa pubblica. Non serve, o meglio non basta, emettere nuova moneta per agevolare il credito, ma occorrono politiche economiche chiare per generare ricchezza e ingrandire la torta per tutti. Eppure gli Eurocrati continuano a percorrere le strade più semplici, inefficaci e distoniche rispetto alle esigenze economiche dell’Eurozona: una politica monetaria espansiva servirà solo a prendere altro tempo, ma, se non accompagnata da misure reali altrettanto espansive, non risolverà il problema del valore aggiunto. Altrimenti prepariamoci a leggere dotti pareri di eminenti veterinari che ci spiegheranno perché il cavallo, pur condotto ai freschi fontanili dell’euro, si rifiuti ostinatamente di bere. Marchetto Morrone Mozzi