La situazione economica dell’Unione Europea sta ponendo in seria difficoltà i Governi.
Fatto l’Euro, si sarebbe dovuta fare l’Europa. Così si diceva allora.
Io, più modestamente, mi sarei accontentato che si fossero fatti passi in avanti lungo la strada della convergenza almeno su tre temi cruciali quali la politica economica, fiscale e previdenziale.
Come si possano conciliare economie con politiche fortemente diversificate, ma dotate di una sola moneta, è un rebus inestricabile cui la mia debole mente non riesce a dare risposta.
Senza aver risolto i nodi gordiani dell’unificazione, i problemi economici e sociali nella UE si sono fatti man mano più rilevanti e, per giunta, scarseggiano idee, coraggio e lungimiranza per superarli.
Resta il fatto, che la deflazione comincia a fare capolino. Vissuti per decenni sotto lo spettro dell’inflazione, forse non ci siamo resi conto della pericolosità della deflazione. E’ un nemico silente ed impalpabile che narcotizza in punta di piedi l’economia senza mostrare segni eclatanti. Almeno prima che i suoi effetti non diventano chiari e sotto gli occhi di tutti.
Gli esperti ne sono terrorizzati. Ma non si vedono proposte adatte all’eccezionale situazione.
Sicuramente gli squilibri economici tra Stati Ue stanno a dimostrare che di più Europa c’è un urgente bisogno e sarebbe quanto mai opportuno dismettere, almeno in parte, ogni egoismo nazionale, spesso utilizzato per nascondere prassi altrimenti inconfessabili pubblicamente.
L’incuria e la miopia degli Stati, schiavi e gran sacerdoti delle rispettive autonomie, ha reso evidente che l’unico timoniere dell’Unione è rimasto Draghi cui spetta l’ingrato compito di dirigere l’intera politica economica dell’UE usando, però, l’unica leva che, pur con tanti se e tanti ma, gli è consentito di utilizzare. Quella della politica monetaria.
Il problema però è che la politica monetaria ha ben definiti limiti temporali. Può di certo esercitare un’azione vicariante rispetto alle politiche economiche. Ma poi, lentamente, gli effetti svaniscono.
Usare l’unica leva della politica monetaria senza mai metter mano alle politiche economiche non è solo sciocco. Rischia di diventare un azzardo poiché le politiche monetarie si logorano e diventano via via inefficaci. Il logoramento delle politiche monetarie in economia è indicato come situazione di “trappola della liquidità”.
E’ come se si volesse debellare una malattia usando solo farmaci sintomatici. Alla fine ci fai l’abitudine e il dolore non te lo togli più.
Come si combatte allora il rischio deflazione in una situazione di trappola della liquidità?
Tutti si aspettavano la risposta di Draghi, che puntualmente, all’inizio di giugno, è arrivata: nessuna rivoluzione, ma un’evoluzione della politica monetaria espansiva della Bce basata su due mosse convergenti: la struttura dei tassi d’interesse e il disegno di nuovi meccanismi di finanziamento con lo scopo di spingere le banche ad aumentare il credito all'economia.
La Bce è quindi intervenuta adottando sia le armi convenzionali (la riduzione dei tassi di finanziamento) sia quelle non convenzionali (stimoli alle banche).
Le armi convenzionali sono però state usate con metodi radicali imponendo tassi di interesse negativi - quindi una tassa - sui depositi che le banche scelgono di detenere presso la Bce.
Il perdurare della trappola della liquidità, cioè il rischio di inefficacia degli stimoli monetari, è il nodo più grosso che la Bce si trova a dover sciogliere: ancora oggi, chi non ha liquidità - sia banca o impresa - continua a cercarla; chi ce l'ha, non la cede.
La manovra è certamente radicale ma pur sempre adottata in situazione di trappola di liquidità. A mio avviso, infatti, le banche continueranno ad aumentare le riserve presso la Bce pur con la penalizzazione. I tassi più bassi alle banche non interessano; anzi, sono una cattiva notizia, e rischiano di schiacciare ulteriormente i già ridotti margini d’interesse.
Allora la Bce ha dovuto rivolgersi agli strumenti non convenzionali con il dichiarato obiettivo di influenzare ed indirizzare la liquidità prodotta dalle banche.
Qui la Bce ha riservato le maggiori novità, impostando inedite linee di credito a lungo termine in favore delle Banche condizionate però alla destinazione dei fondi erogati al credito commerciale a favore di famiglie e imprese.
Insomma, il provvedimento qui richiamato, nelle intenzioni della Bce servirà a dare impulso alla creazione di liquidità da parte del sistema bancario a tutto vantaggio di imprese e famiglie.
Complessivamente, quindi, si è arrivati alla svolta. Dolcemente, ma pur sempre ad una svolta.
Ovvio che nell’incertezza di capire le vere cause della deflazione, la Bce tenta di eliminare ogni alibi che tutt’oggi impedisce di ridare fiato all’economia.
Se la deflazione dipende da aspettative recessive, allora le misure adottate potranno avere qualche successo.
Se invece la deflazione dipende da attese di riduzione futura dei prezzi, allora le misure descritte non serviranno un granché.
Ma anche nel migliore dei casi è chiaro che tali misure dovranno accompagnarsi a profonde riforme interne ai vari Stati. E qui entra in gioco la capacità di tutti noi di riuscire a correggere gli errori fatti nel passato liberandoci dalla zavorra culturale che ne aveva permesso la (forse) inconsapevole crescita.
La lista delle correzioni e delle scelte di politica economica che l’Italia è chiamata a compiere è lunga e non è certamente questa la sede per elencarle. L’ambizioso processo di riforma avviato e la spending review del Commissario Cottareli, potranno anche comportare dolorose rinunzie e difficili sacrifici ma dovranno necessariamente trovare una positiva conclusione poiché è vano sperare di riuscire a salvare l’economia nazionale solo con misure di stampo monetario.
Insomma, adesso tocca a noi.
Marchetto Morrone Mozzi