Una modificazione di un enzima, una particolare chinasi, potrebbe essere una delle chiavi per comprendere l'insorgenza delle forme di malattia di Parkinson che hanno una chiara componente genetica.
A spiegare questa ulteriore potenziale via patogenetica che entrerebbe in gioco nella malattia di Parkinson è una studio condotto alla John Hopkins University e coordinato da Ted Dawson.
La mutazione enzimatica che riguarda la chinasi, enzima che favorisce il trasporto di gruppi fosfato alle proteine, consentendone l'attivazione, potrebbe quindi diventare un nuovo potenziale target terapeutico per il trattamento della malattia neurodegenerativa, che si presenta mediamente intorno ai 58-60 anni ma in un cinque per cento dei casi può manifestarsi anche prima.
Il quadro è legato al calo della produzione di dopamina, conseguenza della degenerazione dei neuroni della sostanza nera, che si manifesta peraltro quando il danno a carico delle cellule nervose è già particolarmente diffuso: basti pensare che quando prendono il via i sintomi più del 60 per cento delle cellule della sostanza nera sono già distrutte dall'avanzare silenzioso della patologia. Inoltre nel sistema nervoso centrale possono iniziare ad apparire accumuli di una particolare proteina, chiamata alfa-sinucleina, che potrebbe essere la responsabile della diffusione del quadro nel cervello.
Alessandra Pompei