Andare allo Sferisterio è sempre un’emozione fortissima. E’ un luogo di cultura a tutto tondo. Lo Sferisterio fu costruito nei primi decenni dell’800 (inaugurato nel 1829), una sorta di stadio dedicato ad uno sport molto praticato al tempo: il gioco del pallone col bracciale. Persa la sua funzione originaria, subito dopo la “Grande Guerra”, la Società Cittadini di Pubblici Divertimenti rimise a nuovo la struttura e la consegnò alla lirica. La prima opera rappresentata fu l’Aida in una rappresentazione scenica di grande impatto e magnificenza. E di lirica, o meglio di spettacolo lirico, si parla in questi brevi e improvvisati appunti. La mia passione per la lirica, coltivata forse un po’ troppo a tempo perso, mi viene da mio padre. In gioventù faceva parte del coro del Ventidio Basso di Ascoli Piceno e la musica si è sempre respirata in casa. E dopo tanti anni mi sono riproposta di assaporare di nuovo le emozioni musicali di un genere particolare, attraverso la rappresentazione de “Il Trovatore” di Giuseppe Verdi, in luogo così particolare quale lo Sferisterio. Opera della maturità artistica del compositore, essa fa parte di una trilogia, insieme a La Traviata e al Rigoletto, che portò in auge Verdi come massimo compositore italiano dell’800, ma torniamo a noi ed alle emozioni dello spettacolo. Francesco Negrin, regista dell’opera, ne ha voluto dare una lettura notturna, scura, dove fuoco e memoria la fanno da padrone. Il luogo principale della memoria è la torre: un parallelepipedo nero che si staglia sulla scena, che segna il passaggio delle masse da una parte all’altra del palcoscenico, intorno al quale e sopra il quale si rivive il rogo e la morte. La morte è il filo conduttore dello spettacolo, essa avvolge i protagonisti attraverso una lunga corda rossa e luminosa. La corda passa attraverso i ricordi, lontani sulla scena quasi a toccare il muro di mattoni, e la realtà che occupa invece i primi piani. Gran parte dello spettacolo si svolge sopra lunghe passerelle, una sorta di palcoscenico nel palcoscenico, che prendono forma attraverso la luce che le illumina nel loro spessore. Luce bianca per le scene d’amore, luce rossa per le scene di odio. In tutto il dramma si è sempre percepita la figura di un piccolo fantasma (il figlio di Azucena morto nel rogo), che assisteva alle scene ogni volta che il dramma sviluppava il tema del rapporto tra genitore e figlio: il dramma nel dramma. Non si è parlato di musica in questi brevi appunti, Verdi non ha bisogno di commenti, le emozioni vengono fuori sempre dall’interazione dei movimenti scenici con la musica. Ed in questo caso Negrin è stato particolarmente bravo a legare musica e teatro in un’aria unica, forte di emozioni. Giulia Catani