Non si deve affondare il ricordo di molti anni indietro per richiamare alla memoria cosa accadde nel 2011 quando il famigerato spread, cioè la differenza tra i tassi pagati sui titoli di Stato italiani a 10 anni e quelli tedeschi raggiunse quota 574 punti percentuali.
Livelli dei tassi d’interesse così elevati non potevano essere sostenuti a lungo dall’economia italiana.
Oltretutto l’innalzamento dei tassi sui titoli di Stato causava un abnorme aumento della spesa pubblica visto l’ammontare del debito pubblico.
L’impennata dello spread trascinava poi con sé i tassi richiesti dalle Banche alle imprese; non ci voleva molto per capire quanto le aziende italiane fossero penalizzate rispetto a quelle tedesche. Infatti, a parità di altre condizioni, se le aziende tedesche potevano finanziare la propria produzione, supponiamo al 2%, l’analoga azienda italiana, doveva pagare il 7,74%!
Il percorso italiano per uscire dai pasticci non fu propriamente indolore; tutti ricordano i provvedimenti che vennero assunti ed i conseguenti sacrifici necessari per ottenere la riabilitazione. Poi vennero gli anni degli OMT e del QE della BCE che hanno contribuito in maniera significativa alla normalizzazione.
Insomma, aiutati che Dio ti aiuta.
L’incubo dello spread, che tutti abbiamo imparato a conoscere in quei cupi mesi, sta ahimè, di nuovo agitando i mercati finanziari.
L’aumento della volatilità è coinciso con la pubblicazione delle prime bozze del programma dell’attuale Governo dove si reclamava la cancellazione di ben 250 miliardi di euro detenuti dalla BCE, in gran parte conseguenza del Quantitative Easing, il programma della BCE predisposto per combattere la deflazione che attanagliava le economie dell’area dell’euro.
Non credo che i mercati abbiano preso sul serio quella richiesta, che di tutte le stramberie deteneva sicuramente il poco invidiabile primato.
Ha certamente influito però la percezione di una traiettoria centrifuga dell’Italia rispetto all’ortodossia finanziaria giocoforza richiesta dagli accordi assunti in sede UE.
E tale avversa percezione, piuttosto che trovare smentite dalle nostre autorità di governo, trova da queste costanti e diuturne conferme, stante la persistente gara a chi la spara più grossa contro la UE.
Certo che se i rimedi alla situazione finanziaria italiana dovessero essere quelli semiseri trovati per sbarcare i poveracci della Diciotti, ci sarebbe da rabbrividire. Pensiamo forse di chiedere aiuto all’Albania per far vedere alla Merkel di che pasta siamo fatti?
Fuori dal paradosso mi sembra di rivedere il film Syriana, libera elaborazione della storia vera di un agente della Cia in Medio Oriente. Il protagonista, George Clooney, deve fare i conti con una politica estera americana che ha più cinismo che strategia e più confusione che cinismo.
Questa condizione sta fortemente penalizzando i nostri titoli pubblici che trovano un clima internazionale sempre meno favorevole e dove è sempre più facile trovare chi vuole vendere, piuttosto che trovare chi li vuole comprare.
La cosa, se non fosse tremendamente seria, farebbe pensare a quelle commedie semiserie dove inganni e realtà si intrecciano fino all’epilogo, quasi sempre festoso e giocoso.
Di questi tempi le stesse prospettazioni del Governo non fanno intravedere nulla di positivo per i prossimi mesi. Autorevoli esponenti, infatti, si stanno da qualche tempo prodigando a indicare quale dovrebbe essere, a loro dire, l’antidoto ai possibili attacchi speculativi contro il nostro debito pubblico.
A parte il fatto che il solo supporre, o dare per possibili, attacchi speculativi rafforza solo l’idea che attacchi speculativi sono dietro l’angolo ottenendo così il brillante risultato di convincere quanti più fondi interazionali possibile a vendere e facendo quindi ingrossare le fila dei venditori, ma è chiaro che gli antidoti dovrebbero essere pesati e soppesati prima di essere dati in pasto all’opinione pubblica nel corso di interventi, a buon mercato e per giunta amplificati dai media, fatti solo per i punti dell’applausometro, rischiando così solo di complicare seriamente le prospettive di soluzione.
Tanto più che, come al solito, la soluzione della crisi attuale non viene ricercata attraverso comportamenti virtuosi, ma attraverso la manna targata BCE che non viene, peraltro richiesta. E’ bensì pretesa.
La BCE, in passato ha posto in essere interventi volti al sostegno di Stati in difficoltà attraverso il programma, cosiddetto, OMT. Se ne sono avvalsi la Spagna, il Portogallo, la Grecia e l’Irlanda che, a fronte degli aiuti, hanno dovuto sottoscrivere precisi impegni e condizioni non propriamente generosi.
Qui non è questione di umiliazione nazionale, che pure ci sarebbe, ma sarebbe il capolavoro dei sovranisti. A furia di parlare e sparlare a destra e a manca a proposito della UE, ma molto spesso ne parlano a sproposito, auspicano e pretendono interventi che inevitabilmente, se attuati, determinerebbero una sorta di protettorato della BCE sull’Italia.
E questo lo sanno benissimo,
Per essere “sovranisti” proprio un bel risultato. Chapeau.
La situazione desta quindi grande preoccupazione. Corollario di non secondaria importanza è la situazione delle Banche italiane visto l’ingente quantitativo di titoli di Stato che detengono nei propri bilanci. Dalle prime semestrali che sono state annunciate, emergono generalizzate ed ingenti perdite di valore che stanno già fortemente erodendo i Fondi Propri delle Banche riducendo quindi la capacità di queste di dare sostegno alla flebile ripresa economica in atto.
I tasselli del quadro già visto nel 2011 si stanno lentamente ma inesorabilmente componendo.
Marchetto Morrone Mozzi