“La Nazione” narrò la cronaca dello storico ingresso a Trieste delle truppe italiane liberatrici in quel 1918 che segnò la fine del risorgimento italiano. Il primo italiano a salutare Trieste libera fu un intrepido aviere di Porto Sant’Elpidio, Giuseppe Pagliacci.
Classe 1892, lo chiamavano «Momone» per la solida costituzione fisica e per la grinta che metteva in tutte le competizioni sportive alle quali prendeva parte, ciclistiche in particolare, che lo vedevano sempre vincitore. Spirito un po’ guascone, appena ragazzo seguì i fratelli emigrati in Canada, dove andò a fare il fornaio.
Allo scoppio della guerra rientrò in Italia e ad Ancona fu arruolato in Marina. Affascinato dall’aviazione chiese e ottenne di prendere il brevetto, e presto diventò pilota di idrovolanti, assegnato a Venezia prima alla 251ª poi alla 260ª squadriglia di Cacciatori della stazione «Miraglia». Nessuno lo ha mai inserito nell’elenco degli eroi dell’aria, eppure con i suoi Idro Macchi L-3 e M-5 compì 120 missioni di guerra, alcune particolarmente rischiose, abbattendo in combattimenti sei aerei nemici, attaccando le linee di fuoco marittime austroungariche, meritando una medaglia d’argento al valor militare e una croce di guerra.
Il 2 novembre 1918 fu mandato in missione insieme a altri cinque velivoli per volantinare su Trieste, Pola e Fiume l’annuncio della liberazione imminente. Quel volo fu salutato da una Trieste in delirio: la gente ammassata sulla piazza grande, sul molo, sulle banchine, lungo il mare. Scrisse il «Corriere della Sera»: «lo sbalordimento ansioso da cui era presa la folla divenne spasmodico delirio, era il messaggio atteso che veniva, era il preannuncio della libertà, era l’Italia!».
«Momone», che volava a bassissima quota, non resistette all’emozione e, preso dall’entusiasmo, contravvenendo agli ordini lasciò la pattuglia e, planando sulla folla, ammarò proprio dinanzi alla piazza dove oggi un monumento ricorda lo storico evento. La folla lo sommerse, il sindaco Valerio lo abbracciò piangendo, poi lo portarono in trionfo per la piazza e lo fecero affacciare ala loggia del palazzo dell’ex Luogotenenza austriaca mentre la banda intonava l’Inno nazionale. Fu eroe per un giorno come raccontarono i giornali.
Al rientro a Venezia il giorno dopo fu punito, ma il comandante abbonò la pena. Indescrivibile la festa che gli tributarono a Porto Sant’Elpidio al suo rientro: di nuovo un trionfo quando lo fecero affacciare e salutare dal terrazzo dell’Albergo Marittimo, era l’eroe della piccola frazione.
Finita la guerra, Pagliacci continuò nella passione del pilota, strabiliando per le sue esibizioni nella Coppa Re di Montenegro. Nel 1919 sposò una bella veneziana, Antonia Dal Corso e l’anno dopo tornò in Canada dove morì dimenticato e senza figli nel 1965.
Giovanni Martinelli