Il 28 settembre scorso è stata approvata definitivamente in Senato la legge che reca “Misure per il sostegno e la valorizzazione dei piccoli comuni, nonché disposizioni per la riqualificazione e il recupero dei centri storici dei medesimi comuni”.
La legge riporta l’attenzione dello Stato sui piccoli centri e sullo stato di abbandono di un immenso patrimonio edilizio con una valenza storico culturale di rilevante importanza.
Il fulcro della legge è rappresentato dalla istituzione di un fondo complessivo di 85 milioni di euro, da spalmare su un quinquennio, finalizzato alla realizzazione di opere pubbliche con particolare riferimento alla riqualificazione dei centri storici.
Molto dibattito intorno a questa legge che di fatto, al di là della costituzione del fondo, non soddisfa le Amministrazioni e gli operatori del settore che hanno espresso plauso per le ragioni della legge e non per il suo contenuto.
Uno dei primi motivi di doglianza è la sproporzione, in senso negativo, dei mezzi messi a disposizione in relazione alla tipologia di intervento.
Infatti da semplici calcoli effettuati, tenuto conto del fondo e del numero dei piccoli comuni, lo stanziamento medio è pari a circa 15.000, 00 Euro a comune nell’arco di cinque anni.
Ciò vuol dire che gli stanziamenti non possono essere spalmati sull’insieme dei centri, ma dovranno essere individuati non più di due o tre interventi per regione a meno che non si decida di dare uno stanziamento simbolico a tutti.
Ma credo che questa non sia la strada per il rilancio dei piccoli comuni che forse hanno più bisogno della creazione di una rete di scambio e di servizi o forse di politiche di defiscalizzazione per il loro rilancio.
La cosa succede in termini pratici?
Lo Stato è promotore dell’iniziativa, mette a disposizione un fondo che sembra quantitativamente importante, ma calato nella realtà del tutto insufficiente.
Esso si interfaccia in maniera diretta con i comuni senza che vi sia l’individuazione di specifiche strutture decentrate che diano manforte a quei piccoli comuni dispersi spesso nel territorio e tanto, tanto lontani dalle istituzioni, in carenza di personale e di qualsiasi tipo di risorsa che si reggono quasi più sul volontariato che su altro. Difficoltà enormi si presenteranno in fase di presentazione dei progetti soprattutto per quei centri ove magari la necessità di riqualificazione e rilancio è più forte e sentita.
Forse saranno i soliti nuclei, meglio organizzati, ad avere beneficio di questa legge.
Ancora una volta un’occasione persa!
Pensiamo a gruppi di lavoro misti decentrati (per Provincia o area vasta o per ambiti montani etc.) con lo scopo di:
- affiancare i comuni in questo progetto con il compito di rilevare le situazioni segnalate, raccogliere dati e informazioni propedeutiche al progetto, supportare i sindaci nelle negoziazioni con soggetti terzi (altri enti pubblici, istituzioni, istituti finanziari, privati). - favorire l’incontro tra potenzialità dei luoghi e domande latenti che potrebbero essere intercettate dagli obiettivi del progetto.
- preparare programmi economico-finanziari con individuazione di risorse da attivare e piani di spesa e di rientro generati dalle attività messe in campo dai progetti. - costituire un Osservatorio per il monitoraggio costante delle iniziative e rilevazione delle criticità su cui intervenire tempestivamente.
- costituire un repertorio delle iniziative per renderle note ed estendibili ad altri luoghi. In altri termini, per passare da un provvedimento buono solo per le agenzie di stampa a uno utile per cambiare le cose occorre un forte e qualificato impegno organizzativo. L’iniziativa pubblica deve essere univoca, priva di ambiguità, abbandonando, per esempio, velleità di nuovi condoni e altre scelte contraddittorie. La legge dice che Stato e regioni “possono” fare la differenza. Vedremo se sarà così.
Giulia Catani