Nel primo trimestre 2017 Apple ha postato profitti per 11 miliardi di dollari. Le sue disponibilità di cassa hanno superato i 250 miliardi, una cifra superiore al PIL di molte nazioni. Il club dei giganti della rete americani (Google, Facebook, Amazon) e cinesi (Alibaba, Snapchat) sta acquistando un potere enorme e crescente, favorito dalle fortissime economie di scala generate dal web: in questo mercato chi arriva primo piglia tutto.
Questo potere è più subdolo di quello dell’industria tradizionale: non ci sono grandi impianti e masse di dipendenti a segnalarlo. Spesso di tratta di servizi (come per Google) forniti “gratuitamente” agli utenti. L’opinione pubblica e la politica, specie quella facilona, stentano quindi a percepire il problema. Se siamo d’accordo che i monopoli minacciano la libertà e la crescita economica non ci può sfuggire che queste aziende stanno costruendo posizioni di dominio difficilmente attaccabili. Riescono a pagare pochissime tasse, eludendole grazie al loro network globale. Con la enorme cassa di cui dispongono comprano immediatamente tutte le startup innovative che possono minacciarle. Così neutralizzano la concorrenza.
Soprattutto, esse controllano l’”il petrolio dell’era internet”, cioè i dati: che cosa facciamo, pensiamo, preferiamo, come interagiscono le nostre macchine. Per avere un’idea del valore dei dati si può ricordare che Facebook ha sborsato 24 miliardi per Whatsapp, un’azienda che non fa pagare i suoi servizi e aveva al tempo appena una sessantina di dipendenti. Facebook ha comprato a quel prezzo le informazioni contenute nelle nostre conversazioni.
Il possesso dei dati e la capacità di analizzarli e tirarne fuori idee per prodotti e servizi sempre più competitivi rafforza il dominio di questi monopoli, permettendo loro di affinare la pubblicità di beni e servizi e alimentando nuove applicazioni basate sull’intelligenza artificiale, software che svolgono funzioni tipicamente umane, come guidare un mezzo, riconoscere un viso, fornire informazioni. Più insidiosamente, i dati possono essere utilizzati per condizionare le nostre scelte, di consumo ma anche politiche: Google può arrivare a decidere cosa troviamo, Facebook chi ascoltiamo, Amazon o Alibaba cosa desideriamo comprare.
Chi può mettere un freno a questa pericolosa deriva? Appare evidente che possono farlo solo forti istituzioni sovranazionali, politicamente legittimate.
Nel 1911 solo la presenza del governo federale degli Stati Uniti ha permesso di rompere il monopolio della Esso di Rockfeller (uno dei “robber barons”), che controllava il 90% della produzione di petrolio. La legislazione antitrust ha continuato per un secolo questo lavoro in vari settori, a beneficio dei consumatori, specie meno abbienti. L’Unione Europea ha tra i suoi compiti anche quello di preservare la concorrenza nel mercato unico e lo ha svolto, anche se i giornali non ne parlano mai. Nell’ambito del G7, G20 e dell’Ocse si stanno trovando soluzioni, come per esempio la web tax di cui si discute in questi giorni.
I “sovranisti”, quelli che ci vogliono fuori dall’Europa, tentano di venderci una malintesa “libertà”. In realtà lavorano per metterci nella mani di potenze private contro le quali i singoli stati nazionali potrebbero fare ben poco.
Luca Romanelli