Anche se in caso di crisi il trasferimento del controllo dall’imprenditore ai creditori è necessario, esso incontra una serie di ostacoli.
Innanzitutto può non essere chiaro all’esterno quando l’impresa sia in crisi, per cui occorre porsi l’obiettivo di favorire l’emersione tempestiva della crisi in funzione della predisposizione di rimedi ancora efficaci. Se però non si offre al debitore un ruolo nella gestione della sua situazione di difficoltà, egli non sarà incentivato a denunciarla, per timore di essere subito allontanato. In secondo luogo, quando la crisi è emersa, l’impresa per poter proseguire richiede un patrimonio di conoscenze e di informazioni non sempre facilmente trasferibile. Tali informazioni possono consistere sia in conoscenze tecniche sia nel know-how relativo ai clienti e ai fornitori, alla situazione del mercato, ai concorrenti e così via. È spesso l’imprenditore, o il management, a possedere queste informazioni e a doverle comunicare ai creditori.
Si pone dunque un dilemma: coloro che hanno provocato la crisi, e che andrebbero dunque allontanati dalla gestione dell’impresa, sono necessari affinché questa prosegua la sua attività almeno nelle fasi iniziali.
Non solo: essi devono contribuire nella realizzazione di un’operazione che toglie loro il controllo dell’impresa. Inevitabilmente i creditori assumeranno un atteggiamento diffidente in questa collaborazione con il debitore: imprenditore e managers possono non essere capaci di gestire correttamente l’impresa durante la procedura concorsuale, dato che l’hanno portata alla crisi; essi possono inoltre non avere sufficienti incentivi a farlo nel migliore dei modi, dato che i risultati positivi non andranno a loro vantaggio; infine essi possono avere incentivi diversi da quello di massimizzare la soddisfazione dei creditori, dato che potrebbero utilizzare il tempo in cui ancora gestiscono l’impresa, per trasferire informazioni critiche all’esterno, in vista di un utilizzo da parte propria o di terzi.
Nonostante queste controindicazioni il patrimonio informativo di cui è in possesso il debitore fa sì che l’utilità della sua collaborazione sia innegabile e vada al di là del caso della gestione dell’impresa in crisi. Anche qualora si procedesse ad una semplice liquidazione, infatti, il debitore avrebbe spesso migliori informazioni sul valore dei cespiti da dismettere e sarebbe spesso in grado di conoscere il mercato dei potenziali acquirenti.
È frequente che sulle ceneri di una società decotta ne nasca una nuova con lo stesso oggetto e con gli stessi soci. Essa acquista dagli organi della procedura l’azienda ad un prezzo che, pur essendo insufficiente all’integrale pagamento del passivo, è superiore a quello che qualunque altro acquirente avrebbe offerto (sindrome della fenice). Proprio per incentivare la collaborazione del debitore alla soluzione della crisi più rapida e conveniente per i creditori, molte procedure d’insolvenza, in apparente violazione dell’ordine di priorità, consentono ai fornitori di capitale di rischio di trarre dei benefici dalla loro cooperazione alla soddisfazione dei creditori.
Se si rispettasse il sistema delle precedenze, infatti, i valori emergenti dal patrimonio dell’insolvente, dedotti i costi della procedura, dovrebbero essere attribuiti prima ai creditori con diritto di prelazione, quindi ai creditori chirografari e successivamente, ma solo quanto tutti i creditori siano stati soddisfatti per intero, ai fornitori di capitale di rischio, cioè all’imprenditore e ai soci. Il sistema concorsuale, tuttavia, consente di rompere quest’ordine. Nel concordato, infatti, può accadere che, anche quando i creditori non siano stati interamente pagati, l’imprenditore o, in caso di società, i soci ottengano una qualche forma di beneficio economico.
Alfonso Rossi