Il verbale della storica seduta del primo parlamento italiano che a Torino il 17 marzo 1861 proclamò la nascita del Regno d’Italia porta la firma, come segretario della presidenza della Camera, del deputato Giovanni Battista Gigliucci.
Fu, insieme alla successiva nomina reale a senatore del Regno, la più grande soddisfazione del nobile fermano, che ebbe una vita in alcuni periodi non facile, caratterizzata da alterne fortune e forzati allontanamenti.
Nacque a Fermo il 19 settembre 1815, orfano a soli due anni, seguì studi matematici e poi di giurisprudenza, interrotti per seguire da vicino i notevoli interessi delle sue proprietà, che lo portarono spesso anche all’estero. Fu un politico moderato, apprezzò le aperture verso il moderno, si ispirò al pensiero giobertiano. Consigliere comunale, fu tra gli organizzatori della Guardia civica voluta da Pio IX, nell’organigramma della quale raggiunse il grado di colonnello. Deluso dal comportamento del papa, assunse posizioni sempre più liberali, tanto da essere eletto per il collegio di Fermo al Consiglio legislativo della neonata Repubblica Romana (1848).
Subita la prima delusione elettorale (non fu eletto nella Costituente) rifiutò la carica di Gonfaloniere di Fermo, limitandosi a far parte del Consiglio degli anziani. Questa sua posizione defilata rispetto ai grandi eventi repubblicani non lo salvarono, alla restaurazione, dalla persecuzione della polizia, per evitare la quale si trasferì in Abruzzo nei possedimenti di famiglia a Martinsicuro, che poi gli vennero confiscati dai borbonici.
Fu costretto all’esilio fra Nizza e l’Inghilterra e a seguire la moglie, il celebre soprano inglese Clara Novello (sposata a Londra nel 1843) che, riprendendo la brillante carriera, mantenne la famiglia. Assistette da Londra agli eventi che portarono alla unificazione nazionale: tornò a Fermo nel 1860, prendendo parte attiva alla organizzazione del plebiscito per l’annessione delle Marche al Regno di Sradegna. L’anno successivo fu eletto per il collegio di Fermo alla Camera dei deputati, inaugurando gli anni delle elezioni a intermittenza, degli alti e bassi in politica.
Bocciato nelle elezioni successive, si ripresentò per il collegio di San Benedetto, ancora sconfitto. Fu eletto nella tornata successiva (1867) e, dopo una nuova sconfitta, fu di nuovo eletto “sul filo di lana” a Fermo nel 1874 (soli sei voti lo premiarono contro lo sfidante, il Sindaco di Fermo Giuseppe Ignazio Trevisani).
Fu assiduo ai lavori parlamentari e firmò due proposte di legge, fra le quali, insieme al collega deputato del collegio di Montegiorgio Pio Bartolucci, quella di trasferire a Fermo il capoluogo della Provincia di Ascoli Piceno (1876). Per i suoi meriti il 26 gennaio 1889 fu nominato senatore del Regno.
Morì a Roma il 29 marzo 1893: volle sepoltura senza corteo, né funebre pompa come disse nella commemorazione al Senato il Presidente Domenico Farini.
Giovanni Martinelli