Giovanni Conti fu definito «uomo generoso e severo» da «La Voce Repubblicana», organo dell’allora Partito Repubblicano Italiano, che ne annunciava la morte avvenuta a Roma l’11 marzo 1957.
Nato a Montegranaro il 17 novembre 1882, Conti ha rappresentato per oltre mezzo secolo l’incarnazione dell’ideale repubblicano e la figura di politico laico. Laureato in giurisprudenza, fin da giovanissimo si fece conoscere per il suo deciso impegno in politica, fondando nel suo paese il Circolo repubblicano intitolato a Felice Cavallotti e, contro l’attivismo di don Romolo Murri (poi deputato), il Circolo anticlericale.
Trasferitosi a Roma, e ancor più dedicandosi all’impegno politico, si distinse nella lotta contro la politica coloniale italiana, avendo la capacità di far schierare il suo partito contro la guerra di Libia. Interventista, fu invece volontario nella prima guerra mondiale, alla cui fine fu tra i riorganizzatori del Partito repubblicano. Nel 1921 fondò, assumendone la direzione, l’organo di stampa del partito, il quotidiano «La Voce Repubblicana», e, una volta eletto deputato, ebbe forti scontri in parlamento con l’emergente Benito Mussolini.
Conti fu il primo a occuparsi con coscienza dei problemi sociali, riconoscendo il valore della solidarietà, del volontariato, della cooperazione. In economia sognò uno stato orientato sì verso la proprietà privata, ma sensibile verso l’affrancamento dei più deboli e delle classi proletarie. Era contro ogni tipo di violenza e repressione (per questo, più avanti, si terrà lontano dall’organizzazione dei Comitati di liberazione), anche contro le esasperate forme anticlericali tipiche di quel tempo.
Dopo la vicenda Matteotti, nel 1926 fu tra gli «aventiniani », per questo decadde dal Parlamento. Antifascista convinto e militante, proprio per le sue dichiarate posizioni antigovernative si vide revocare l’iscrizione all’albo forense e subì più volte l’arresto come nemico del regime.
Continuò il suo impegno politico nella clandestinità fino a che, alla caduta del fascismo, non assunse nuovamente il compito di ricostruire il Partito repubblicano, alla testa del quale condusse la campagna elettorale nel referendum a favore della proclamazione della Repubblica.
Nel 1946 fu eletto con incredibile risultato personale nell’Assemblea Costituente, nella quale fu chiamato ad essere Vicepresidente. Come sempre si distinse per il suo contributo, anche come presidente della commissione per l’elaborazione del testo costituzionale (sua la formulazione dell’articolo riguardante l’autonomia della Magistratura).
Dal 1948 al 1953 fu senatore. In polemica con la nuova politica della segreteria Pacciardi, si allontanò dalla direzione del partito fino a dimettersi confluendo nel gruppo misto, uscendo di scena alla fine della legislatura.
Giovanni Martinelli