In pochi casi il culto per un beato locale resiste ai secoli come in quello del beato agostiniano Antonio da Amandola. Nacque dalla famiglia Migliorati nella campagna amandolese, non lontano dal convento di Sant’Anastasio, il 17 gennaio 1355. Educato a grande rettitudine, in quel convento benedettino passava molte ore in preghiera, e vi ricevette la prima formazione sino al convincimento a entrare in convento.
Non si fece però benedettino, ma entrò nel convento agostiniano del suo paese: per quanto non si abbiano notizie sui suoi anni di noviziato, appare certo che la sua vocazione risentì del fascino di Nicola da Tolentino, che resterà modello di spiritualità ed esempio di apostolato per tutta la sua vita, tanto da convincerlo prima a prendere i voti, poi a imitarlo nella sua missione fra la gente.
Per oltre dieci anni, fino ai primi del nuovo secolo, fu nel convento di Tolentino dove, grazie all’incarico di sacrista, ebbe l’opportunità di essere vicino spiritualmente alla sua guida, e lo distinsero la serenità e la gioia nell’accogliere e nel seguire i pellegrini, che accorrevano sempre più numerosi alla tomba del santo nei tempi del processo e della sua beatificazione.
Antonio condusse una vita in costante contatto con i fedeli, pur imponendosi sacrifici e penitenze per innalzare il suo spirito. Uomo di grande cultura e di grande umanità, particolarmente devoto verso i poveri e gli umili, vide negli anni crescere verso di lui la devozione dei fedeli, che ben presto lo vollero conoscere anche da fuori Tolentino.
Dopo un periodo di missione nelle Puglie, fu richiamato nella sua terra con l’incarico di priore del convento di Amandola. Grazie al suo apostolato e al fascino che esercitava sulla gente, la famiglia agostiniana crebbe fino a rendere necessario l’ampliamento del convento e la costruzione di una nuova chiesa (lavori dei quali non vide il completamento).
Già in vita la sua fama di santità varcò la zona, soprattutto fra i Sibillini la gente cercava di incontrarlo, di ascoltarlo, di seguirlo. Non meravigliò per questo che alla sua morte, avvenuta il 25 gennaio 1450, il convento di Amandola divenne mèta costante di pellegrinaggi e di omaggio al piccolo frate tanto da collocare le sue spoglie su un altare. Si parlò più volte di miracoli.
Nel 1798 il suo corpo fu oggetto di blasfemo vilipendio da parte delle truppe rivoluzionarie.
Il culto, cresciuto nei secoli, fu riconosciuto l’11 luglio 1759 da Clemente XIII, che lo beatificò, ed è stato così intenso nel passato che nel 1890 Leone XIII concesse l’indulgenza plenaria ai visitatori del santuario che ora porta il suo nome..
Giovanni Martinelli