Sant’Alessandro fu, secondo la tradizione, il primo vescovo della chiesa fermana, nel tempo in cui il Piceno veniva cristianizzato dai primi apostoli che lo raggiunsero per le vie consolari o dal mare, dopo san Marone e san Ciriaco.
Molti storici fermani lo hanno citato, ma nessuno – come Michele Catalani nella sua storia della chiesa locale o p. Ferdinando Ughelli nella sua Italia Sacra - ha mai saputo dare certezza alla sua esistenza con eventi, avvenimenti, tracce, pur citandolo come presule intorno al 250, prima del successore Filippo, anch’egli martire. Nel 1589 Cesare Baronio, poi cardinale, completò la revisione del Martirologio Romano, che unificò e aggiornò le varie versioni esistenti, e l’11 gennaio inserì la notazione A Fermo, nel Piceno, Sant’Alessandro, vescovo e martire.
Con tutta probabilità il culto di Alessandro si sparse insieme a quello degli anonimi martiri fermani dei primi tempi, dei quali più volte ricorre la memoria, particolarmente negli Atti dei martiri quando si parla del martirio di San Marone. Unico valore la citazione che si faceva in premessa, che lo dice nel tempo in cui (sempre secondo Catalani) con verosimile certezza anche Fermo ebbe un proprio vescovo, non esistendo oltretutto altra traccia che si riferisca a un suo eventuale predecessore.
Insieme a lui ricorrono i nomi sia di Filippo, dato per tradizione come suo successore, sia di due vergini martiri di Fermo nel Piceno, Vissia e Sofia, che il Baronio trascrive il 12 aprile. Sembra che a lui ne desse contezza un prete dell’oratorio fermano (Baronio era della Congregazione di San Filippo Neri): sempre la tradizione le dice martirizzate intorno al 250, all’epoca delle persecuzioni di Decio. Nella Cattedrale di Fermo si conservano in due teche i teschi delle due vergini, e una lapide ricorda il martirio di Vissia - dalla quale prende nome l’omonimo colle della periferia cittadina dove sorge il Seminario, dove, sempre secondo la tradizione, avvenne il martirio - e alla quale nel 2011 è stato intitolato l’altare nella Cattedrale.
Tornando al vescovo Alessandro e al suo successore Filippo, un importante contributo al ristabilimento delle fonti è venuto dagli studi di Serafino Prete, autore di un testo sull’argomento. Secondo altri, la loro si riconduce alla venerazione popolare dei due omonimi martirizzati lungo le vie verso il Piceno, la Salaria e la Nomentana.
Giovanni Martinelli