Questa volta vorrei esaminare la situazione e le prospettive dei tassi di interesse.
La BCE, sulla scorta di analoghe politiche intraprese da altre Banche Centrali , ha ormai da anni iniziato una politica di espansione monetaria come mai è stata attuata in Europa.
Dapprima sono state poste in campo misure volte alla riduzione dei tassi ufficiali.
Nel mese di ottobre 2008, ad un mese dal quel disastroso 15 Settembre, data del fallimento del gruppo Lehman Brother, il tasso di rifinanziamento principale era pari al 3,25%. Dopo una lunga serie di riduzioni il tasso è stato portato al di sotto della soglia dello 0 percento ed ora, per coloro che depositano i soldi presso la Banca Centrale, la remunerazione non solo è scomparsa, ma è diventata negativa, cioè devono addirittura pagare alla BCE un tasso di interesse sulle somme depositate.
L’inversione dei tassi è, per certi versi, l’emblema dello sforzo prodotto dalla Banca Centrale per dare ossigeno alle economie della zona UE, stremate dalla lunga crisi ed incapaci di operare una ripartenza senza stimoli esterni.
Ma quello dei tassi straordinariamente bassi non è la sola misura messa in campo dalla BCE.
Attraverso il cosiddetto “quantitative easing”, a decorrere dal marzo 2015, la BCE si è prefissa di acquistare titoli per 60 miliardi al mese per arrivare, a tutto il mese di settembre 2016, ad aver rastrellato complessivamente titoli per 1.140 miliardi di Euro.
Non sfuggirà che, se la BCE si riempie di titoli, pagandoli inonda l’economia di soldi freschi. Insomma il programma determina un’espansione della base monetaria rendendo così ancor più agevole le condizioni per la domanda di danaro.
Quali sono le conseguenze immediate? Se da un lato, l’evidenza dimostra che quella montagna di danaro stenta ad uscire dai circuiti finanziari e non riesce ad affluire nell’economia reale, certamente il programma di espansione monetaria, fortemente voluto da Draghi, ha determinato un progressivo indebolimento dell’Euro sui mercati delle valute.
A titolo di esempio, solo due anni fa il cambio Euro/Dollaro era costantemente compreso fra 1,3 ed 1,40 (cioè ci volevano 1,40 dollari USA per avere in cambio un Euro) mentre adesso il cambio è costantemente e saldamente sotto l’ 1,10! L’indebolimento dell’Euro (o, se volete, il rafforzamento del dollaro) è quindi stato di oltre il 20% e di ciò hanno certamente beneficiato le esportazioni dell’Area UE che, infatti, hanno rapidamente iniziato a crescere.
Nei mercati domestici dei Titoli di Stato, il differenziale dei decennali verso il Bund ha continuato a contrarsi portandosi fino a circa l’% o, detto con il linguaggio dei visigoti, a circa 100 basis point. (che è la stessa cosa, ma fa molta più scena).
Il calo dello spread ha anche portato con sé il calo dei rendimenti, cui fa pandant l’aumento dei prezzi. I Titoli di Stato italiani a 10 anni nel mese di luglio 2015, nel pieno della crisi greca, rendevano circa 2,4%. Oggi il loro rendimento è pari all’1,50% ed i prezzi sono ovviamente saliti battendo di giorno in giorno ogni record precedente.
In questa situazione, tutti colori che avevano titoli di Stato e li hanno monetizzati, hanno conseguito rilevanti utili legati al forte rialzo delle quotazioni. Per tanti operatori si è dunque trattato del mitico El Dorado dove un’inesauribile cuccagna ha placato ogni bramosia di guadagno.
Potrà durare a lungo tale situazione? Certo è molto difficile fare previsioni specie in un periodo in cui i tamburi di guerra hanno iniziato a rullare sempre più forte.
A meno di fatti traumatici, però, io penso che per qualche mese assisteremo ad un mercato non eccessivamente mosso dove i tassi d’interesse potranno mostrare una certa calma. Non continueranno più a scendere, ma non aumenteranno nemmeno.
L’aumento ormai imminente dei tassi americani non potrà infatti incidere più di tanto su quelli europei, posto che la BCE sta mantenendo fede ai suoi impegni ed anzi, in una recentissima intervista, il suo Presidente, ha lasciato intendere che tali misure verranno ulteriormente ampliate. E già dai primi giorni di dicembre ne sapremo un po’ di più.
L’attuale equilibrio è dunque dato dall’ampiezza delle misure adottate dalla BCE orientata a portare il tasso d’inflazione dell’area attorno al 2%. Al momento si è molto lontani da quell’obiettivo ma l’impegno della Banca centrale è massimo e dunque vi è da credere che presto o tardi, l’inflazione inizierà a rialzare la testa.
Ma ai primi segnali di risveglio dei prezzi, la Banca Centrale dovrà necessariamente ingranare la retromarcia, varando un percorso di riduzione graduale della sua attuale politica accomodante.
Tradotto in soldoni, prima o poi i tassi inizieranno a risalire e quindi, per chi oggi è lungo di BTP, l’attenzione deve essere massima: ai primi segnali, anche timidi, di ripresa dell’inflazione è meglio vendere tutto e mettersi al riparo.
Ma chi è oggi molto liquido, si troverà in una situazione diversa. Deluso dai rendimenti zerovirgolazero, può essere indotto a cedere alle lusinghe dei tassi d’interesse su titoli a lunghissima scadenza, ve ne sono alcuni che scadono nel 2046, che sono modesti, ma almeno hanno conservato il segno positivo, e andare a riempirsi proprio di quei titoli, solo per poter godere di un subitaneo ma effimero maggior rendimento.
Alla ripresa dei tassi, infatti, quei titoli perderanno fatalmente e rapidamente valore assicurando ai portatori larghe perdite in conto capitale.
Dopo mesi e mesi di dieta (dei tassi) ferrea, se non di assoluto digiuno, sembrerebbe naturale cercare di rifarsi e prendersi qualche extra rendimento con titoli lunghi. Ma le scelte facili e scontate, potrebbero a breve rivelarsi esiziali.
Vale oggi, come sempre, l’invocazione: non ci indurre in tentazione.
Marchetto Morrone Mozzi