Il Centro Studi Carducci ci ha provato ancora, dopo la presentazione di Innovare per Crescere nel 2009, a mettere la classe dirigente fermana di fronte alle proprie responsabilità verso un territorio provato e disorientato dalla lunga crisi. Una provincia ancora acefala e quindi afona, dove politica, imprese ed istituzioni sociali si sono mosse quasi sempre in ordine sparso, se non in aperta competizione tra di loro.
Un’analisi puntuale e ben documentata, quella del Carducci, che ha centrato il cuore del problema: le industrie trainanti (calzature, cappello, abbigliamento) come quelle “promettenti” (l’agroalimentare di qualità ad esempio) rischiano un triste declino se non innovano, adottano le tecnologie abilitanti, costruiscono reti globali che ne ottimizzino la catena del valore e le connettano ai mercati emergenti. Con loro rischia un territorio invecchiato, con pochissime start up innovative, produttività e tasso di occupazione calanti, disoccupazione giovanile al 37%.
Occorre serrare le file e assumere la fatica della cucitura di un patto territoriale di sviluppo che pieghi le resistenze particolari, le piccole e disperate rendite di posizione, le programmazioni per ciclo elettorale. Ci sono azioni “di sistema” da portare avanti che non verranno mai da sole, perché non pagano nel breve, sono rischiose, espongono a fallimenti ed al chiacchiericcio da bar de “l’avevo detto”.
Bisogna partire dalle risorse che abbiamo: la vocazione imprenditoriale, la “tigna” (la chiamano resilienza) che ha fatto sopravvivere tante imprese, la propensione all’export, una buona capacità di elaborazione culturale, una scuola che si sta risvegliando, un paesaggio meraviglioso. Ma non basta. Non possiamo cullarci.
La visione è saldare bellezza e fabbrica, piccolo e agile, locale e globale. Produrre il bello, il buono il ben fatto: è quello che l’Italia ha da offrire ad un mondo che, sazio di puro consumo, ricerca un senso. Le “azioni di sistema” che servono si chiamano trasferimento tecnologico, acceleratori di aziende innovative, reti di piccole e medie imprese, internazionalizzazione, alternanza scuola-lavoro, qualificazione dell’offerta formativa, accorpamento e digitalizzazione dei servizi pubblici, integrazione dell’offerta turistica, banda larga, recupero edilizio, piani paesaggistici rigorosi, energie sostenibili, eventi culturali che aprano le menti, nuovi capitali di rischio.
Niente o poco di questo sarà possibile senza una regia condivisa, senza la voglia di confrontarsi e mettere energie e denaro, pubblico e privato, a disposizione di un progetto comune. La Provincia di Fermo, morta prematuramente, non ci ha mai neppure provato. Strumenti di concertazione più agili ed ispirati potrebbero fare di meglio.
Luca Romanelli