La storia è stata abbastanza dura con Gentile da Mogliano, protagonista della parte centrale della storia fermana del XIV secolo. Nato intorno alla fine del ’200 dalla famiglia dei signori da Mogliano, di lui si hanno poche notizie, e la sua figura è caratterizzata dal periodo centrale della sua vita, quando inseguì un sogno di potere dimostratosi più grande di lui.
Nel 1346 è podestà di San Ginesio, nel periodo in cui altri componenti della sua potente famiglia ricoprono incarichi pubblici: suo figlio Chiaretto è podestà a Fabriano poi ad Amandola, suo fratello Nicoluccio a Matelica.
Due anni dopo, alla testa delle truppe fermane, distrugge Porto d’Ascoli, iniziando una lunga disputa con Ascoli che, assoldate le milizie dei Malatesti, attacca e sottomette alcune località soggette a Fermo, della quale nel frattempo Gentile diviene governatore, di fatto signore assoluto. Sconfitto a Civitanova nel 1351, viene a patti con Galeotto Malatesti, sancendo a Rimini una pace temporanea, più volte interrotta nei mesi successivi.
Sono gli anni del papato ad Avignone e della grande confusione nell’assetto politico delle Marche. Nell’intento di ristabilire l’ordine e, soprattutto, la sovranità del papato, nel 1354 Innocenzo IV assegna pieni poteri al cardinale spagnolo Egidio Albornoz che, fra le prime mosse, cerca di schierare Gentile (che nel frattempo era stato scomunicato per non essersi presentato al cospetto del papa per giurargli fedeltà) dalla sua parte. E Gentile si sottomette all’autorità pontificia, restituendo Fermo e ricevendo in cambio il governo di Civitanova, Montecosaro e Montefortino, la nomina a gonfaloniere della Chiesa, il comando delle truppe contro i Malatesti che, nel frattempo, si sono allargati nel Piceno.
Ma proprio il Malatesta, grazie agli uffici del suocero Ordelaffi, signore di Forlì, convince Gentile a ribellarsi all’Albornoz, promettendo un maggiore potere nel Fermano. Dopo una fase favorevole, i signori di Rimini vengono di nascosto a patti con il potente cardinale così che Gentile, ormai isolato, viene affrontato e sconfitto dal rettore della Marca Blasco da Belviso.
Ormai vinto, viene esiliato. Nel 1356 tenta senza successo di riprendersi i beni confiscatigli a Fermo. Condannato a morte in contumacia, sempre più braccato, riesce a mettere in piedi una piccola compagnia di ventura, dandosi a saccheggiare i castelli e le tenute fermane, tiranneggiando per alcuni mesi sull’allora Montolmo e su Montegranaro.
Ormai abbandonato da tutti e a rischio di vita, dal 1358 di lui si perde ogni traccia, dopo aver dedicato la vita, come scrive Luchetti Giuli, «ad inseguire un sogno di gloria e potenza che molto presto si infranse». Gli sopravviverà la memoria di tiranno senza scrupoli, mestiere che Gentile esercitò né più né meno di tanti altri signori senza scrupolo del suo tempo.
Giovanni Martinelli
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