Per la prima volta in vita mia non andrò a votare. Mi capita per le prossime elezioni regionali. Non per una generica sfiducia nella classe politica. Anzi sono convinto che un cittadino ha il dovere di esprimersi, fosse anche per il male minore, quando sono in gioco scelte rilevanti per la comunità. Il problema riguarda l’istituzione Regione così com’è adesso. Forse è il caso di mandare un segnale chiaro, anche attraverso l’astensione, che essa va rivista profondamente.
Per essere chiari, le Regioni, anche la nostra, sono diventate apparati che producono prevalentemente ceto politico e burocrazia tendenzialmente ridondanti, quando non decisamente parassitari. Le liste presentate, purtroppo, oltre che il livello della campagna elettorale, confermano quest’impressione. Anche i candidati più preparati si muovono nella logica dell’autoconservazione. Pochissimi la contestano apertamente in maniera credibile.
L’80% per cento ed oltre del budget regionale è destinato alla Sanità. Lo spezzettamento del Servizio Sanitario Nazionali in 20 feudi regionali ne ha ridotto fortemente le possibilità di razionalizzazione ed innovazione. Le Marche hanno fatto meglio di altri ultimamente, ma probabilmente per merito di 2-3 teste pensanti a livello politico e una squadra di tecnici decenti. La gran parte dei 40 (dalla prossima fortunatamente 24, ma sono ancora troppi) consiglieri regionali hanno probabilmente solo aggiunto “rumore”, traffico di influenze per per questo o quel medico o dirigente, battaglie di campanile per giustificare il proprio ruolo.
Credo si possa gestire meglio la sanità su bacini più ampi e ottimali senza impedire che “i territori” ed i cittadini esprimano un indirizzo politico alle scelte manageriali. Occorre pensare nuovi modelli che prescindano dalla manomorta partitica e diano voce in forma diretta ai veri portatori di interessi: pazienti, volontari, operatori, Comuni. Chissà forse eleggendo i manager, come recentemente ha proposto Adriana Poli Bortone.
L’altra cosa importante che fa la Regione è la gestione dei fondi europei. Ma, di nuovo, questa è questione soprattutto tecnica. Le funzioni di indirizzo si possano affidare a strutture più agili e meno burocratiche, che chiamino a decidere i soggetti rilevanti in gioco, con organizzazioni anche temporanee ed a geometria variabile secondo il tema.
Il resto delle competenze regionali sono frattaglie, spesso irrilevanti, fonti di conflitti con lo stato centrale e sovrapposizioni di livelli normativi che ci complicano ulteriormente la vita. Si pensi al governo del territorio e all’urbanistica: a parte l’assurdità di venti leggi urbanistiche, si può dire che le Regioni abbiamo avuto un impatto mentre il paese frana?
Se ce la fa, il Parlamento dovrebbe prendere atto del disagio degli elettori e mettere mano anche alla riforma di questo livello di governo. Non si tratta solo di accorpare (in macroregioni) ma anche di rivedere la missione di questi enti, limitando al minimo la produzione normativa ed esaltando la funzione di raccordo ed attivazione delle energie dei rispettivi territori, secondo lo spirito originario del Costituente.
Luca Romanelli