Nessuno saprà mai se fosse veramene o no di Fermo, o se con Fermo abbia avuto a dividere momenti della sua vita (a totale favore si schierò nell’800 il Mecchi), di certo Lucio Celio Lattanzio «Firmano» o «Firmiano» come lo conoscono i più, è uno di quei personaggi che danno alla storia grande lustro. Sarebbe nato intorno al 240 d.C.. Rètore fecondo, per la sua fama sarebbe stato chiamato a essere precettore di uno dei figli dell’imperatore Costantino, Crispo Cesare. Visse a Nicodemia (da qui l’altra tesi, sostenuta da chi lo vorrebbe di origini africane) forse per sfuggire alle persecuzioni contro i cristiani – religione che egli aveva subito abbracciato – come si racconta in un commentario settecentesco alle sue opere. Così come nel parlare anche nello scrivere fu versatile ed elegantissimo. La lettura delle diverse opere salvatesi dall’ingiuria del tempo e giunte fino a noi, soprattutto nel rinascimento lo rivalutarono, tanto da farlo definire da Giovanni Pico della Mirandola «il Cicerone cristiano». Scrisse De divinis institutionibus, commentario ai doveri morali e civili del cristiano, De opificio Dei, trattato nel quale è descritta e ammirata la perfezione della creatura umana, capolavoro di Dio, De ire Dei, nel quale si tratta della giustizia divina verso l’uomo. Ma la vera fama di Lattanzio Firmiano arrivò con l’avvento della tipografia, quando la prima stamperia italiana, impiantata su personale sollecitazione di Papa Pio II da monaci tedeschi nell’abbazia di Subiaco, decise di editare alcuni ammirevoli capolavori dell’antichità, da difendere, conservare e promulgare. Dopo i monumentali De oratore di Cicerone e De civitate Dei di sant’Agostino, i chierici tipografi Conrad Sweynheym e Arnold Pannartz stamparono a Subiaco il De divinis institutionibus di Lucius Coelius Firmanus Lactantius, il primo libro italiano datato 29 ottobre 1465. Battendone negli anni ’90 dello scorso secolo una copia eccellente rilegata in pelle con rara eleganza, forse da artigiani della stessa abbazia benedettina o, comunque, in una bottega del tempo, la celebre casa d’aste Christie’s parlò di un libro «da bere con gli occhi». Come per le origini e per la vita, di Lattanzio sono sconosciute sia la data sia il luogo della morte, avvenuta, secondo una non confermata tradizione, intorno al 320. Alla storia restano le sue opere, capaci di tramandare la grande cultura, l’affabilità dello scrivere, la capacità comunicativa di quest’uomo che caratterizzò i primi anni del cristianesimo e una nuova fase della letteratura. Giovanni Martinelli