Oltre la metà degli italiani ritiene che il vero motore della possibile ripresa economica sia il cibo, il 18% la moda ed in caduta libera con il solo 10% l’automobile.
Il marchio più conosciuto al mondo è”Coca Cola “ il secondo è “ Made in Italy “.
Lo sviluppo agricolo, modello Italia, non essendo delocalizzabile ma solo maldestramente replicabile non fa altro che accrescerne l’interesse. Dietro l’agricoltura non c’è un reddito adeguato , ma c’è legittimamente quella visione di futuro, di prospettiva e di fiducia che troviamo parallelamente nella moda.
Il biglietto da visita del cibo made in italy è dato da 254 Dop e Igp (forse troppe), 57.468 specie animali e 12.000 floreali. Ciò porta, dobbiamo ricordarlo, ad una ricchezza netta prodotta per unità di superficie coltivata, doppia rispetto a Francia e Spagna, paesi mediterranei e con produzioni spesso analoghe.
Siamo il primo esportatore mondiale in quantità di vino, pasta, kiwi, pesche, mele e pere e al top di presenze per turismo enogastronomico: lo siamo anche per sicurezza alimentare, solo lo 0,3% dei prodotti risultano con residui superiori al consentito, in Europa abbiamo una media di 1,5% (cinque volte superiore ), mentre le produzioni extracomunitarie sono all’ 8% (ventisei volte); forse hanno dei buoni motivi per preferirci …
Non bruciamo questo importante vantaggio con altre “terre dei fuochi “ !
Nell’ultimo anno abbiamo registrato un + 7% di esportato in produzioni agricole (34 miliardi); la fà da padrone il vino, che oltretutto in periodo di stagnazione economica mondiale riesce a fare un +7% di valore a parità di volume. Dobbiamo comunque ricordare, che rispetto ai francesi abbiamo ancora prezzi unitari inferiori, stiamo risalendo la china ma con difficoltà. Questo gap ha origine da una visione che abbiamo avuto fino a pochi decenni fa del vino come food e non come prodotto edonistico/voluttuario; visione superata anticipatamente dal nostro maggiore concorrente.
La migliore garanzia per il futuro è che non si può delocalizzare la produzione agricola “Made in Italy”; ma siamo diventati così appetibili, che ora il rischio proviene (causa la nostra debolezza come paese Italia) dall’acquisto dei nostri marchi da operatori stranieri. Dall’inizio della crisi sono 10 miliardi il valore dei marchi agroalimentari venduti. Questo tipo di export è il peggiore, anche perché non riproponibile, dobbiamo fare squadra per bloccarlo.
Tanti settori economici avremmo potuto averli in forza, ma li abbiamo venduti, svenduti, dismessi immolati per giochi politici spesso incomprensibili; non sciupiamo questo brand, anzi cerchiamo di utilizzarlo come “testa di ariete “.
Dobbiamo però avere l’umiltà e la dignità di preparare i nostri figli non solo per futuri quadri elevati, ma con lungimiranza creare tecnici eccellenti nella produzione e nel marketing.
La prima manodopera può essere sostituita da chi bussa alle nostre porte, ma il secondo e terzo livello deve restare Italiano. Di queste capacità tecniche siamo già parzialmente deficitari, potremmo esserlo gravemente in un futuro assai prossimo.
Una mia ospite francese mi ha inviato una cartolina:”indimenticabile viaggio fra le vostre colline con auto Fiat BARILLA”. Un apprezzamento che vale doppio, fatto dai nostri cugini d’oltralpe .
Fiducia nei nostri mezzi coraggio ed umiltà .
Pio Carlini