Tenete a mente questo termine, perché in futuro questi composti proteici potrebbero rivelarsi un target per il trattamento di varie patologie degenerative del sistema nervoso centrale, dalla malattia di Alzheimer al morbo di Parkinson. A farlo pensare sono gli studi di Giovanna Mallucci, ricercatrice italiana che lavora da tempo in questo ambito presso il laboratorio dedicato dell'Università di Leicester. Tutto è iniziato con uno studio apparso su Nature, che ha dimostrato un possibile fattore in comune tra diverse patologie, appunto le "unfolded proteins". Queste proteine, che potrebbe essere definite "mal piegate" come si dice delle lenzuola disordinatamente riposte nell'armadio, sarebbero molto diffuse e si alternerebbero a quelle sane, stando alla teoria della studiosa. Il problema è che questa alternanza non passa del tutto inavvertita dalla cellula: si creerebbe infatti un meccanismo "on-off" che può creare danni relativi. "La prima fase della nostra ricerca stabilì che nelle persone affette da disturbi neurodegenerativi il sistema resta off, spento, interrompendo l'alternanza che limita i danni provocati dalle proteine "unfolded" - spiega la stessa Mallucci. Da questa osservazione è partita un'affascinante ipotesi di lavoro: identificare i meccanismi inibitori di questa dinamica e anche la via per riattivarli. Al momento, i primi studi sui topi dimostrano che un farmaco è in grado di riattivare il meccanismo "on-off" agendo direttamente sulla dinamica scatenata dalle proteine mal piegate: d'altro canto, proprio questo meccanismo alterato e non la semplice presenza di queste strutture proteiche anomale sarebbe alla base della condizione patologica. Certo è che nei prossimi anni, grazie a questa ricerca, si potrebbe trovare una nuova arma per contrastare l'evoluzione della malattia di Alzheimer. Alessandra Pompei