Il titolo è una brutale provocazione. Esistono laureati che restano profondamente ignoranti e brillanti autodidatti. Tuttavia, in generale, un titolo di studio aiuta una nazione a progredire, specialmente se, come avviene, lo sviluppo economico e civile sono trainati dalla conoscenza.
Lo studio OCSE Education at Glance, uscito nel 2012 e disponibile online, fornisce numeri preoccupanti sul nostro paese.
La percentuale della popolazione potenzialmente attiva (25-64 anni) che in Italia ha conseguito un diploma di scuola superiore è del 55% (dato 2010). La media OCSE (che comprende anche paesi emergenti come Messico e Turchia) è del 74. Ci fanno compagnia la Spagna (53%), il Portogallo (32%) e la Grecia (65%). Vi dice niente?
L’Irlanda, che è nella media, sta già uscendo dalla crisi che l’ha devastata. La Germania è all’86%.
Il nostro ritardo diminuisce da 19 a 11 punti percentuali nella fascia di popolazione più giovane (25-34) ma resta da vedere quali effetti avrà la crisi su questo dato.
La situazione peggiora se guardiamo ai laureati. In Italia la loro percentuale cresce con l’abbassarsi dell’età, dall’11% della fascia 55-64 al 21 di quella 25-34. Ma lo stesso dato medio OCSE va dal 23 al 38%.
Quando sento dire nei convegni che l’Italia ha troppi laureati e che invece abbiamo bisogno di idraulici e tornitori sento un brivido alla schiena. L’ignoranza si autoassolve. La cultura serve.
Il tasso di disoccupazione degli uomini con la sola scuola dell’obbligo era l’11% nel 2010. Quello dei laureati il 6,3% e degli specializzati il 4,4% (p.130). Il differenziale di impiego tra uomini e donne diminuisce significativamente con il livello di studi conseguito (p.128).
In Italia, sempre nel 2010, i laureati hanno guadagnato il 50% in più di un diplomato e il doppio di quelli con la sola scuola dell’obbligo (p.140).
Per un italiano, investire in un corso universitario genera un guadagno netto di 160.000 dollari nell’arco della vita, in linea con la media OCSE (dati 2008). Il guadagno netto è doppio di quello di un diploma superiore rispetto alla sola scuola dell’obbligo. Anche l’aspettativa di vita all’età di 30 anni aumenta di 4 anni con una laurea, probabilmente grazie a stili di vita più consapevoli (p.209).
Non è solo questo che conta: il disastro della nostra vita politica deve molto alla scarsa capacità critica degli elettori. La partecipazione al voto, ad esempio, aumenta del 15% tra gli adulti più educati rispetto ai meno.
In rapporto al PIL, nel 2009 l’Italia spendeva il 4,9%, contro il 6,2 della media (p.244). E’ probabile che il gap sia aumentato. In valore assoluto, la spesa media è stata invece di circa 9.000 dollari all’anno per studente, dall’infanzia fino all’Università, più o meno in linea con la media OCSE (p.216), ma con la vistosa eccezione dell’Università, dove spendiamo poco meno di 10.000 dollari annui contro i 14.000 della media (p. 219). Quindi spendiamo poco proprio dove i benefici, individuali e collettivi, sono maggiori. La quota di spesa universitaria sopportata dai privati è del 30% circa, nella media.
Il Paese ha quindi interesse a potenziare le sue Università, con fondi pubblici o privati, naturalmente dopo una riforma seria che elimini i baronati e premi la ricerca ed il merito.
Luca Romanelli - www.lucaromanelli.it