La recente sentenza emessa dalla Consulta in data 9 ottobre 2012 con il n.17 143 tratta in modo innovativo della colpa medica in materia di risarcimento del danno in tema di responsabilità medica. Con questa sentenza la Cassazione ha chiarito che sul paziente incombe soltanto l'onere di dimostrare il mancato raggiungimento del risultato mentre il medico per giustificarsi dalla presunta colpa dovrà provare la corretta esecuzione della prestazione. Ovvero "il danneggiato (cioè il paziente) è tenuto a provare il contratto e ad allegare la difformità della prestazione ricevuta rispetto al modello normalmente realizzato da una condotta improntata dalla dovuta diligenza", mentre al debitore (ossia al medico) presunta la colpa, incombe l'onere di provare che l'inesattezza della pretazione dipenda da cause a lui non imputabili e cioè la prova del fatto impeditivo". L'inadempimento del medico tuttavia non può essere desunto "ipso facto" dal mancato risultato utile avuto dal cliente, ma deve essere valutato alla stregua dei doveri inerenti allo svolgimento dell'attività professionale. L'analisi del rischio non può essere rimessa alla maggiore o minore difficoltà della prestazione. In caso di insuccesso dunque incombe al medico dare la prova della particolare difficoltà della prestazione. Nel processo penale vige invece la regola della prova "oltre ogni ragionevole dubbio" e in tal caso al paziente non è sufficiente provare il danno. Si tratta quindi di una sentenza che pone in capo al medico, al fine di esimersi dalla responsabilità una effettiva "probatio quasi diabolica"ai limiti della responsabilità oggettiva. Si ritiene tuttavia che resta una "obbligazione di mezzi" e non "di risultato". Da questa sentenza emerge che in caso di insuccesso incombe al medico dare la prova della difficoltà della prestazione, ragion per cui la difficoltà tecnica verrà presa in considerazione solamente ai fini della valutazione del grado di diligenza e del corrispondente grado di colpa riferibile al sanitario. Riguardo al nesso causale è solo in materia civile che vige la regola della prepreponderanza dell'evidenza o della probabilità. Secondo l'interpretazione che ne da quindi la Consulta possiamo dire che anche gli stessi concetti di "obbligazioni di mezzi" e "obbligazioni di risultato" non sono più sufficienti per definire il campo della responsabilità, in quanto la Cassazione con questa sentenza finisce per ritenere ormai obsoleti tali concetti dal momento che il tipo di responsabilità non va desunto da "apodittici schemi normativi" ma in concreto dall'insieme degli obblighi e dei diritti che nascono dal singolo rapporto contrattuale. Sentenze del genere fanno sorgere il dubbio che l'impianto codicistico è ormai obsoleto in alcune sue definizioni, nel caso di specie nelle definizioni di "obbligazioni di mezzi" e "obbligazioni di risultato". Questa sentenza della Consulta ci invita pertanto ad adeguarci ad una visuale della normativa più ampia e a non fossilizzarci sui vecchi schemi codicistici. La giurisprudenza con sentenze del genere fa dei passi avanti ed invita indirettamente gli operatori giuridici ad un esame approfondito della materia senza utilizzare i vecchi e desueti "occhiali" degli antichi vecchi schemi del codice civile. Questa sentenza la possiamo definire un'opera di creatività (e interpretando la legge con una vera e propria "attività legislativa") avvicinandoci agli ordinamenti stranieri. Si può definirla una sentenza positiva? Ai posteri l'ardua sentenza. Ai giuristi senz'altro insegna che è bene non ancorarsi ai vecchi schemi in quanto il diritto italiano è un diritto stratificato su vecchi sistemi normativi, ma la giurisprudenza cerca di darne una interpretazione all'avanguardia risolvendo le vicende processuali più controverse con lucidità e tecnicità e anche con un tocco di creatività. Da questa sentenza pertanto ricaviamo che la "legge non è statica" e non fatta soltanto di norme e di codici. Alfonso Rossi