Più che le miserie vaticane emerse in questi giorni intorno al solito IOR, due mi sembrano gli spread che maggiormente segnano la crisi della Chiesa Cattolica e la sua incapacità di essere un riferimento per la crescita del Paese. Nella sfera pubblica, mi sembra evidente il fallimento di un ventennio di gestione militare dell’episcopato, nel quale i Vescovi hanno assistito sostanzialmente silenti allo sfascio del tessuto civile del Paese, accontentandosi di qualche vittoria di retroguardia (come quella sulle unioni civili) e dell’ingenua convinzione di essere i king makers della (impresentabile) politica italiana. Sempre più drammatico, inoltre, è il distacco dal mondo giovanile, la cui “fuga” dopo la stanca routine dei sacramenti è oramai ampiamente documentata. Nelle comunità locali, le Parrocchie si rannicchiano nei loro recinti, impotenti ed impacciate di fronte alla rapida disgregazione della famiglia tradizionale. Le radici della crisi sono profonde e riconducono alle contraddizioni ed all’incerta attuazione del Concilio Vaticano II. Sbozzando con l’accetta della sintesi le cause principali, ne intravedo due. La prima riguarda la difficoltà di dire la verità cristiana all’uomo contemporaneo: se il Concilio ha in parte “liberato” lo spazio dell’incontro personale con la Scrittura e la potenza inaudita della figura di Cristo, anche attraverso l’analisi storico-critica dei testi, rimangono ancora appiccicati alla fede professata pesanti ed inutili fardelli di “tradizione” che appartengono a momenti storici superati. Essi stanno ancora li a rassicurare chierici e sacrestani ma anche ad ostacolare o rendere incomprensibile l’annuncio a troppi. Gli esempi possono essere tanti: basti pensare all’assurda minorità del mondo femminile nella Chiesa o ai moralismi che discendono da visioni filosofiche (specie quella della “legge naturale”) invece che dal Vangelo. Il Vangelo è l’adesione liberante all’amore di una Persona, non un libro di precetti. Proprio da ciò esso trae la sua forza vitale nei secoli. Gesù stesso aveva molto da dire, al suo tempo, ai sepolcri imbiancati. L’altro ostacolo è la permanenza di una struttura organizzativa e giuridica della Chiesa basata sul modello della “societas perfecta”, autoritaria e contrapposta al mondo. Rispetto alla rivoluzionaria visione conciliare di Popolo di Dio articolato in distinti ministeri e sacramento di unità del genere umano, la Chiesa rimane sostanzialmente una monarchia assoluta, in mano al Papa e all’opaca oligarchia vaticana, in grado di controllare ogni minuto aspetto della vita ecclesiale e piegare al conformismo il clero e la teologia. La casta clericale, che non esisteva nella Chiesa primitiva e ha mutuato molte delle sue prerogative dai sacerdoti del mondo pagano, estende il suo controllo anche sugli aspetti che non le competono, a leggere proprio il Concilio. Dove sta scritto che devono essere i preti e i cardinali a gestire lo IOR o i beni di una parrocchia? O che dei laici non possano essere responsabili della pastorale? I laici sono di fatto tenuti ancora ai margini della vita ecclesiale o strumentalizzati dal clero per esercitare un potestas indirecta sulla società civile. Il risultato è che la Chiesa non riesce più a dialogare con la gente e cade nell’irrilevanza della propria autoreferenzialità. I due mali si alimentano a vicenda: il conformismo e l’autoritarismo soffocano il carisma e consolidano il pregiudizio. Si discute se 50 anni siano pochi o troppi perché maturi una vera svolta. E’ vero che la Chiesa è sopravvissuta ai Borgia, ma non me la prenderei troppo comoda.
Luca Romanelli – www.lucaromanelli.it