Ormai mancano pochissimi giorni alla Pasqua cristiana e ho piacere di condividere con gli amici rotariani quanto scaturisce dall’interpretazione del significato simbolico dell’opera del Durer. Partiamo da quanto la tradizione ci ha sempre detto sull’età di Cristo all’atto della Sua crocifissione: 33 anni. Tale età non è citata direttamente dai Vangeli canonici, i quali ci dicono solamente che Gesù condusse una vita privata fino a circa 30 anni prima di iniziare a predicare nella Sua terra d’origine. I tre Sinottici (Matteo, Marco e Luca) sostengono che a un certo punto Gesù andò a Gerusalemme per la Pasqua (quindi porterebbero a pensare a un solo anno di vita pubblica) . Giovanni invece afferma che le Pasque furono tre, che sommate ai “circa” 30 anni di vita privata danno appunto i tradizionali 33 anni di vita di Gesù. E’ evidente che i 33 anni di Cristo sono un numero caro alla tradizione ricchissimo di simbologia e, appunto per questo, senza alcuna attinenza con la realtà storica, qualunque essa sia stata. La scena rappresentata da Durer è stracolma di simboli, sui quali ad oggi pochi ormai sono sensibili, compresi i fedeli. Analizziamo l’opera di Durer. Notiamo innanzitutto il SOLE e la LUNA PIENA sospesi ai due lati della Croce. Secondo la tradizione Gesù venne crocifisso il venerdì che precedeva il giorno di Pasqua sotto il dominio dell’Imperatore Tiberio. La Pasqua, nel calendario lunare ebraico, cadeva il sabato successivo (per esattezza il 14 del mese di Nisan) alla prima luna piena dopo l’equinozio di primavera (e anche oggi la data della Pasqua cristiana viene determinata in tal modo). Dunque quando Cristo venne crocifisso la luna doveva essere piena o quasi. Ora si può pensare che questo particolare sia casuale; si potrebbe obiettare che se Gesù fosse stato arrestato in un altro periodo, forse sarebbe stato crocifisso sotto una luna diversa. Ma quando si ha a che fare con eventi mitici, nulla accade per caso. Ogni particolare va letto con un occhio che guarda “al di là”. Per millenni l’uomo ha visto e seguito il ciclo “incostante” della luna, crescente e calante. Il ciclo della luna è paragonabile al ciclo dell’uomo: nascita (luna nuova), giovinezza (primo quarto), maturità (luna piena) , vecchiaia (ultimo quarto) e morte (luna nuova; notare la coincidenza con la nascita!). Nascita e morte si incontrano nella luna nuova come a voler significare la continuità della vita al di la della morte (o nascere a vita nuova o, come dice Dante, “Vita Nova”). Di fronte il sole, che non muta mai il suo aspetto. Il suo cerchio è costante, perfetto, non è soggetto all’incostanza e alla temporalità lunare. Se la luna è simbolo della ciclicità temporale, il sole è il simbolo dell’eternità: l’ETERNO PRESENTE. La luna rappresenta la provvisorietà della vita umana, il sole diventa il segno dell’immutabile eternità di Dio. “Di Te, Altissimo, porta significazione” dirà San Francesco di Frate Sole, e Dante aggiungerà : “Nullo sensibile in tutto lo mondo è più degno di farsi essemplo di Dio che l’Sole” (Convivio). Ora, da un punto di vista astronomico, la luna piena si trova in opposizione al sole. Questo significa che sul far dell’alba c’è un magico istante in cui il sole e la luna si trovano l’uno di fronte all’altra: il sole sorge ad oriente, la luna tramonta ad occidente. Entrambi i dischi appaiono pieni e perfetti. E’ il momento in cui la luna pare forgiata a immagine e somiglianza del sole. Se all’epoca dell’evento la media della vita umana era di circa 70 anni, il culmine della maturità dell’uomo era intorno ai 35 anni. Questo è il momento in cui il divino e l’umano si sfiorano, si toccano, si compenetrano, così come la luna a metà del suo corso si specchia nel sole, Gesù, nell’attimo supremo del suo viaggio terreno, sospeso all’albero della Croce, tra il sole a la luna che si specchiano l’uno nell’altra, simboleggia l’istante in cui l’umanità si fonde con la divinità, in cui l’uomo si libera dal peccato e soprattutto dalla mortalità ad esso connessa, per trascendere la sua materialità e innalzarsi in una sfera metafisica. Dobbiamo notare, e questo non deve meravigliarci, che 35 anni è l’età simbolica d’incontro tra l’umano e il divino. Zarathustra aveva quest’età quando ricevette la chiamata da Ahura Mazdah, e il Buddha aveva 35 anni quando ricevette l’illuminazione. Dante, in qualità di mistico pellegrino, intraprenderà il suo viaggio ultraterreno proprio nell’anno 1300, quand’egli “nel mezzo del cammin di nostra vita”, aveva (caso strano !) 35 anni. Il suo viaggio, che gli procurerà la purificazione e illuminazione dell’anima , lo porterà infine al cielo fino a fondersi con quell’Amor “che move il Sole e l’altre stelle”. Il medesimo simbolismo si ripresenta dovunque si ripropongono gli stessi motivi mistici destinati agli Iniziati, ossia coloro che hanno occhi e orecchie per intendere… Qualcuno potrà obiettare che Cristo non fu crocifisso all’alba. Giovanni ci dice all’ora sesta (mezzogiorno) i Sinottici ci parlano dell’ora terza (circa le 9 del mattino). Di certo Durer non era così sprovveduto da ignorare le effettive posizioni del sole e della luna nel momento della morte di Gesù, sulla base delle ore indicate nei Vangeli canonici. In realtà la scelta grafica di Durer è una precisa indicazione di come certi elementi debbano essere presi nel loro significato simbolico ed esoterico. Un modo di rappresentare quel qualcosa “di più”. La Crocifissione, prima di essere un evento storico o religioso, è uno straordinario fenomeno mitico e simbolico. Non si può negare quest’assunto, se definiamo mito qualcosa che, al di la della sua realtà storica, indica una verità trascendente e metaforica. Un simbolismo che, come tale, acquista il valore dell’universalità per chiunque abbia “gli occhi” per intenderlo, prescindendo dalla sua natura fideistica. Tale simbolismo è ancor più lampante con la presenza del teschio ai piedi della croce. Golgota significa “monte del teschio” perché, secondo la tradizione, vi era seppellito il teschio di Adamo, colui il quale, mangiando il frutto dell’Albero della Conoscenza, aveva causato la caduta del’umanità dal suo stato di perfezione e grazia, operando la rottura primordiale tra l’uomo e Dio. Dal teschio di Adamo sorge ora un altro albero, quello della Croce, su cui, grazie al sacrificio di Cristo, l’umanità può ritrovare la perduta unità con Dio. Tra l’Albero della Conoscenza e l’Albero della Croce, esiste una specularità straordinaria. Non a caso infatti la Crocifissione avviene alla vigilia della Pasqua. La parola ebraica “Pesach” (come ci ha già detto la nostra amica Marzia), significa “passaggio”. Si intende qui l’episodio della schiavitù degli Ebrei in Egitto, allorché l’Angelo della Morte evitò le case degli Ebrei che avevano cosparso le porte delle loro case con il sangue di un agnello (ed è proprio in ricordo di quella notte che nella tradizione ebraica - e successivamente anche cristiana - è previsto l’agnello quale cibo tradizionale nell’Agape Pasquale). Cristo, con il Suo sacrificio alla vigilia di Pasqua, si configura come “agnello universale” il cui sangue allontana la morte dall’intera umanità. Pesach, “passaggio”, dalla vita umana , condizionata dal peccato e dalla morte, alla vita che è Vera Vita: IL RITORNO ALL’UNITA’ CON IL PRINCIPIO DIVINO DA CUI TUTTO PROVIENE. Ci sarebbero ancora molti elementi simbolici da analizzare nel disegno del Durer, come le tre donne ai piedi della Croce, i due ladroni , gli angeli che raccolgono nel calice il sangue di Cristo, ecc. ; vi è un labirinto di simboli e di valenze. Ma è importante riscoprire che il senso di queste corrispondenze mitico-religiose, per avere un significato universale valido per tutti, vanno lette in senso esoterico e non teologico. Non dovremmo preoccuparci di affermare o negare la storicità del Cristo, o se sia stato davvero crocifisso, ma dobbiamo ritrovare, in questo labirinto di simboli, il più autentico significato esoterico che , nel caso di specie, forse ci insegna che beatitudine e dannazione non sono termini applicabili soltanto alla vita dopo la morte, ma a questa stessa esistenza, nella condizione di vicinanza o lontananza dal PRINCIPIO UNO che è Dio. Gennaro Natale