La famiglia fermana dei Graziani ha dato al mondo della lirica italiana alcune delle voci più belle dell’800. Fra queste le più note furono quelle del tenore Lodovico, protagonista della sfortunata «prima» de La Traviata a Venezia nel 1853, e, soprattutto, Francesco, baritono nato a Fermo il 26 aprile 1828.
Avviatosi dapprima agli studi ecclesiastici, seguì la naturale inclinazione per il bel canto studiando con Francesco Cellini, maestro della Metropolitana di Fermo, nella cui cappella cantò per diversi anni per poi debuttare nel 1851 come voce solista in palcoscenico ad Ascoli Piceno nella Gemma di Veggy di Donizetti.
Dopo aver cantato l’anno successivo a Macerata e a Firenze, fu scritturato per alcuni anni al «Theatre des Italien» a Parigi, dove fu protagonista dei più noti titoli italiani del tempo e dei maggiori autori. Francesco
Graziani aveva una voce potente ed estesa che, nonostante la sua gravità, anche negli acuti manteneva la sua bellezza e il suo fascino. Insieme ad Antonio Cotogni fu una delle voci più celebrate del tempo, affascinante soprattutto nel vaso repertorio verdiano. Proprio i ruoli verdiani sembravano essere stati scritti per lui. «Un violoncello, una mezza voce dolcissima, incantevole» così diceva il Cotogni elogiando la bellezza di intonazione del Graziani, del quale venivano apprezzati non soltanto gli ampi e pastosi acuti, ma anche i dolcissimi “piano”.
Da Parigi trionfò ancora a Londra, poi a San Pietroburgo, forse la città nella quale più attrasse il pubblico, tanto da sentirsi offrire il prestigioso incarico di cantante di camera dello zar, che non accettò. Ma il motivo c’era: Francesco Graziani sin dalla giovinezza coltivò ideali repubblicani, addirittura aderendo alla «Giovine Italia», rimanendo in contatto negli anni della sua attività in tutta Europa, Londra soprattutto, con gli esponenti liberali italiani in esilio, fra questi lo stesso Mazzini.
All’estero il baritono trionfò sui maggiori palcoscenici: dopo San Pietroburgo, fu ancora in Francia e in Spagna. Interprete verdiano per eccellenza, il primo De Varga ne La forza del destino, e un Amleto perfettamente nella parte nell’opera di Thomas. Nel 1875 e nel 1876 fu ancora nei cartelloni de «la Fenice» a Venezia e, nell’agosto 1878, fu protagonista del «suo» Rigoletto per la terza riapertura del Teatro dell’Aquila di Fermo.
Il passare degli anni influì sulla sua voce, come testimoniano le ultime apparizioni al Covent Garden di Londra. Per questo nel 1880 decise di lasciare le scene e di ritirarsi nella sua terra. Morì nella sua villa a Grottazzolina il 30 giugno 1901, da tutti rimpianto.
Il teatro dell’Aquila lo ricorda con un busto nel suo atrio.
Giovanni Martinelli