La congiuntura economica che l’Italia sta attraversando viene analizzata con dovizia di particolari dalla stampa specializzata e non. La stessa crisi è legata a doppia mandata con la mutazione dello scenario politico che il Paese sta attraversando e ciò ha notevolmente contribuito a rendere, ai più, i contorni della congiuntura ancora più confusi. E’ del tutto evidente che il dibattito politico ha le sue regole e le sue esigenze. E non sempre, in quel contesto, le esigenze di chiarezza e di rigore nelle analisi sono conformi alle necessità. E siccome gli analisti politici, di una parte e dell’altra, usano, giocoforza, toni e metodi enfatici il povero cittadino assiste pietrificato ad una sorta di corrida dove, e questo lo percepisce nettamente, a rischiare di essere incornato è proprio lui. Il linguaggio per spiegare e riassumere i vari aspetti della situazione corrente, molto spesso fa riferimento a concetti e tecnicismi fino a ieri di esclusivo dominio delle famigerate “sale mercati”. E così hanno fatto irruzione nelle nostre case termini quali lo spread, che guai se va sopra 500, il rapporto debito/PIL, da non confondersi con il deficit/PIL che così com’è va male ma attenzione però perché se guardiamo al disavanzo primario/PIL allora le cose vanno già meglio. Recentemente hanno poi a lungo imperversato discussioni, anche in trasmissioni a largo “audience”, sulla patrimonializzazione delle banche e dei provvedimenti presi dell’odiata EBA che ne avrebbe imposto un consistente incremento. E siccome siamo in tema, credo non sia sfuggito a nessuno il ricorso ad un lessico militare artatamente usato a scopo enfatico. L’Euro è il bersaglio della speculazione. I BTP sono sotto attacco. Quando si parla di rigore nei conti pubblici, dobbiamo alzare la guardia. Contro l’evasione, dobbiamo alzare il tiro e così via. Insomma, una girandola di definizioni e di concetti economici divenuti veri e propri punti di riferimento nelle nostre diuturne conversazioni. Ma fino a che punto, mi domando, i concetti economici e finanziari sopra sommariamente richiamati e profusi a piene mani possono dare alla gente comune il reale senso della situazione? Assai poco. Anzi, temo, punto. Sono persuaso che la tecnica giornalistica largamente utilizzata, specie quando non accompagnata da un’adeguata, specifica educazione, possa invero ingenerare esattamente quanto, in questo momento non c’è bisogno. Cioè il panico. Euforia o panico, nei mercati finanziari, sono infatti il miglior corroborante per la speculazione internazionale che aspetta solo l’attimo giusto per poter volgere a proprio favore i comportamenti irrazionali dei più e continuare a speculare e guadagnare facendo leva sull’emotività dilagante e su una dissimmetria informativa di tutta evidenza. Non è certo questa la sede per individuare la soluzione al problema, anche perché il problema non ha una soluzione soltanto. Ma solo il fatto che il problema venga individuato, che venga quindi messo in luce un uso inappropriato e fuorviante del lessico, troppo spesso piegato alle esigenze di parte, può iniziare a togliere il velo della irragionevolezza che ammantata il dibattito per consentire a tutti di rapportarsi con la presente situazione congiunturale secondo le proprie aspettative e le proprie prospettive ma senza atteggiamenti irrazionali che, se diffusi, possono solo rischiare di far avvitare il Paese in una spirale di cui tutti, alla fine, potremmo farne le spese. Da queste pagine vorrei, se me ne sarà data la possibilità o laddove se ne ravviserà l’utilità, analizzare in seguito alcuni degli aspetti più rilevanti della crisi congiunturale in atto per fornire su di essi un mio punto di vista nell’intento di contribuire a togliere quel velo di irragionevolezza ai cui ho sopra fatto cenno.