Con l’abolizione delle Province la classe dirigente italiana (la politica ma anche la Confindustria) sembra finalmente aver trovato un mantra riformista unitario, che dia l’impressione di un’energica volontà di cambiamento e razionalizzazione dell’assetto istituzionale del Paese. Ma cosa ci possiamo aspettare in concreto? Partiamo da alcune osservazioni evidenti. Molte, fondamentali istituzioni dello Stato/Parastato sono organizzate su base provinciale: quelle relative alla sicurezza (Prefetture – che costano un botto – Questure, Comandi di Carabinieri, Finanza, Forestale e Vigili del Fuoco ecc.), il sistema Camerale (i cui pletorici parlamentini corporativi costano più di un Consiglio Provinciale), i Tribunali (le cui circorscrizioni tendono a coincidere con gli ambiti provinciali), gli Ordini Professionali, la Banca d’Italia, INPS ed INAIL, tanto per citare le più importanti. Le stesse Regioni, su cui dovrebbero ricadere le funzioni delle abolite Provincie, hanno sentito la necessità di delegare a queste vari compiti essenziali: il controllo dei Piani Regolatori Comunali, parte della programmazione urbanistica (i PTC), la Protezione Civile, l’edilizia scolastica e la manutenzione della rete viaria ecc. Nelle Marche una recentissima riforma fa coincidere l’articolazione del servizio sanitario, pur gestito dall’Azienda Regionale, con le “Aree Vaste” che altro non sono che le Province. Verrebbe da dire che sembra poco saggio o per lo meno molto centralista, in questo panorama, che venga meno il referente politico, eletto dai cittadini, al medesimo livello. Invece proprio questo si vuol far fuori, con risparmi minimi e senza dire una parola su come si intende ristrutturare tutto il baraccone sopra citato, che nasconde nelle sue pieghe sprechi ed inefficienze sicuramente rilevanti. Avete mai sentito una proposta su come ridurre questi ultimi? Per esempio l’abolizione delle Prefetture (con la conseguente riorganizzazione dei Comandi su ambiti più grandi e ottimali), delle Camere di Commercio, degli Ordini professionali. Oppure la sacrosanta revisione delle circoscrizioni dei Tribunali, osteggiata dal potente esercito degli avvocati (200.000 in Italia contro i 70.000 francesi). Si pesterebbe i piedi a troppe lobby. Nessuno dice inoltre che la stessa abolizione delle Provincie significa almeno un anno di percorso di revisione costituzionale e poi ANNI di transizione (sicuramente confusa) per la redistribuzione dei compiti e del personale, con rischio di fermarsi a metà del guado, come spesso avviene in Italia. E allora? Non fare niente e continuare a buttar via i soldi dei contribuenti? Non è detto. Basterebbe il coraggio di fare alcune cose che sono più semplici e rapide dell’abolizione delle Provincie ma che richiedono coraggio e polsi fermi. Per esempio (oltre a quanto detto sopra su Prefetture, Camere di Commercio, Ordini, Tribunali ecc) disboscare immediatamente gli enti strumentali “di bacino” proliferati negli ultimi anni, anche per moltiplicare poltroncine, come Comunità Montane, ATO, Ambiti Sociali, Sistemi Turistici Locali ecc, che spesso creano sovrapposizioni e dispersione di risorse, riportandone le funzione proprio alle Provincie. In questo senso si è già mossa, con buon senso, l’UPI (Unione delle Provincie Italiane). La madre di tutte riforme però è la fine del principio di amovibilità dei dipendenti pubblici, almeno all’interno di un’area geografica limitata, che potrebbe essere anche la Provincia. In estrema sintesi, gli Amministratori Locali devono essere sottoposti a stringenti vincoli di spesa, compatibili con le risorse pubbliche disponibili, e “affamati” quando sprecano, ma debbono avere il potere di adottare rapidamente cambiamenti organizzativi mirati all’efficienza ed all’efficacia. Per esempio: spostare (attraverso procedure di mobilità interna ed esterna e riqualificazione) dipendenti da enti e servizi sovraffollati a quelli carenti; consorziare servizi con altri enti (specie tra piccoli Comuni o piccole Provincie), ridurre il numero degli ormai troppi dirigenti (quelli della Provincia di Fermo guadagnano il doppio o il triplo del suo Presidente). In conclusione: vorrei vedere meno proclami stupidamente semplificatori e destinati ad avvitarsi su sé stessi e più coraggio nel ridisegnare un sistema istituzionale flessibile ed insieme fortemente responsabilizzato dai cittadini-contribuenti ad ogni livello. Un sistema più concreto, che impara cambiando e fa crescere la democrazia dal basso.
Luca Romanelli