Articolo di Mauro Bignami - Titolo quanto mai provocatorio, quello che Marco Pacetti, Magnifico Rettore dell’Università Politecnica de lle Marche, ha scelto per la sua conversazione al Club di Fermo. Un titolo quasi obbligato visto che, “da tempo, politica, mezzi di comunicazione e spesso anche sedicenti studiosi del sistema universitario sembrano colpiti da una sorta di bulimia denigratoria nei confronti dell’Università”, ha esordito Pacetti, sottolineando come tutti i giudizi siano basati su scarsa conoscenza dei fatti i quali, ripetuti ossessivamente, disorientano l’opinione pubblica. Non solo, ma “isolano l’Università dalla società e forniscono una splendida giustificazione a una drastica diminuzione delle risorse, già scarse, che il Paese investe nell’istruzione superiore e nella ricerca.” Nella pressoché generale geremiade, diversi luoghi comuni e slogan ossessivamente ripetuti sono facilmente confutabili: i costi alti, l’eccesso di offerta formativa, l’inefficienza del sistema connessa agli abbandoni e al numero dei laureati, la bassa produttività della ricerca scientifica. “Spendere meno ma spendere meglio?”, ha domandato Pacetti. “Ma l’università italiana costa poco, meno che negli altri Paesi europei!”, ha risposto. Del resto, il numero dei corsi di studio, con qualche sporadico caso un po’ stravagante e ben presto soppresso, è non solo inferiore alla media europea ma anche rispondente alle necessità della società contemporanea, che richiede percorsi più articolati e flessibili. E anche il decentramento non è un problema in sé, ma legato al come e dove si decentra. Riguardo agli abbandoni, è bene ricordare sia la mancanza di filtri iniziali sia un carente sostegno al diritto allo studio per gli studenti economicamente svantaggiati. Infine, è da smentire la scarsa produttività scientifica. E’ vero che siamo indietro perché “le persone dedicate alla ricerca scientifica sono meno che in altri Paesi (la metà dei tedeschi, per esempio), ma non è vero che in Italia la produttività della ricerca scientifica sia bassa.” Una clamorosa smentita viene dalla rivista Nature, su cui si legge che i ricercatori italiani guadagnano il 3° posto al mondo precedendo USA, Francia e Germania e superando di cinque volte il Giappone. Dunque, non di tagli c’è bisogno, perché “l’investimento più importante che il Paese può fare è quello sul capitale umano e sui il futuro”, ha concluso Pacetti, ricordando che “un Paese che disinveste nella formazione è sicuramente destinato al declino.”